IL COSTUME


Le funzioni del costume


In "Il sorpasso" (r. di Dino Risi, 1962, IT) i due protagonisti indossano per quasi tutto il film gli stessi indumenti: Bruno una maglietta estiva e Roberto una camicia da cui non si separa mai, nemmeno al mare. Anche attraverso la scelta dei costumi vengono definiti i personaggi (funzione caratterizzante): Bruno, eterno fanciullo che non vuole crescere, sebbene in là con gli anni, e Roberto, prigioniero di convenzioni che lo fanno sembrare più vecchio della sua età.



Jacques Tati ha costruito nei suoi film il personaggio di Monsieur Hulot, stralunato e sempre vagamente fuori posto, restio alle reazioni e alle espressioni forti, garbatamente polemico nei confronti della modernità. Come diversi comici del periodo del cinema muto, il suo costume è divenuto un attributo insostituibile del personaggio: impermeabile sgualcito, pantaloni troppo corti, cappello, ombrello sempre in mano e pipa in bocca. "Mio zio" ("Mon oncle", r. di Jacques Tati, 1958, FR-IT).




"Ipcress" ("The Ipcress File", regia di Sidney Furie, 1965, UK) uscì nello stesso anno di "Agente 007 – Thunderball. Operazione tuono" ("Thunderball", regia di Terence Young, 1965, UK). Proponeva come protagonista una spia inglese, Harry Palmer, che aveva caratteristiche opposte a quelle di James Bond. Il production designer è lo stesso: Ken Adam. Scenografia e costumi concorsero a differenziare nettamente le due proposte. Harry Palmer vive in un piccolo appartamento e veste come un impiegato; all’inizio viene presentato in pigiama. James Bond si trova invece a suo agio in ambienti ricchi e veste sempre in modo elegante o sportivo o... rimane volentieri a torso nudo.


In "Le vite degli altri" ("Das Leben der Anderen", r. di Florian Henckel von Donnersmarck, 2006, DE) due personaggi si confrontano: Gerd, capitano del potente servizio segreto della Germania Est, e Georg, un intellettuale che il regime ha deciso di spiare. Il costume concorre a delineare i profili dei due personaggi in modo leggero e realistico: Gerd, un burocrate apparentemente freddo, veste in maniera formale e gli abiti gli si chiudono stretti intorno al collo; Georg, estroverso e passionale, ha abiti più informali, aperti, con la camicia costantemente sbottonata. L’unica volta che è costretto a portare una cravatta, appena può l’allenta.



La scena è tratta da "La calda notte dell'ispettore Tibbs" ("In the Heat of the Night", r. di Norman Jewison, USA, 1967): un poliziotto di colore, Tibbs, si trova casualmente ad imbattersi in un omicidio in un paese razzista, in cui la polizia locale non sa risolvere il caso. Il film, uno dei primi antirazzisti, fa di Tibbs un personaggio colto e distinto, che si confronta con bianchi rozzi e ignoranti. E il suo vestito, sempre impeccabile, ne sottolinea il contrasto.




John Malkovich in "Burn After Reading – A prova di spia" ("Burn After Reading", regia di Joel ed Ethan Coen, 2008, USA) interpreta Osbourne Cox, un ex agente della CIA che da quando è stato licenziato scivola in una rabbiosa depressione. Il declino è reso anche attraverso i progressivi cambiamenti di costume (funzione caratterizzante): all’inizio abiti eleganti al limite del lezioso e alla fine una vestaglia che non si toglie mai né di giorno né di notte.


In "La recita" ("O Thiasos", r. di Thodoros Anghelopulos, 1975, Grecia), i costumi, il trucco e l'acconciatura servono a sottolineare il ruolo sociale e politico dei personaggi. Gli antagonisti sono vestiti sempre in maniera artatamente formale per distinguerli dai "buoni", a volte con accento caricaturale: ad esempio i costumi vagamente da "gangster", dei fascisti nel locale da ballo (ambientato subito dopo la fine della guerra in Grecia) a confronto con quelli più "giovanili" degli ex partigiani. 



"Il selvaggio" ("The Wild One", r. di László Benedek, 1954, USA) si inserisce in un filone di film che descriveva il fenomeno delle bande giovanili che adottavano abbigliamento e abitudini fuori dal controllo sociale adulto e che all’epoca destava grande allarme negli Stati Uniti. Il look di Marlon Brando (occhiali scuri, giacca di pelle nera, cappello con la visiera) divenne molto popolare tra i giovani.



In "Salvatore Giuliano" (r. di Francesco Rosi, 1962, IT) l’autore aveva intenzione di raccontare le vicende del famoso bandito siciliano, evitando però di elevarlo a mito. Impresa difficile, in generale, per le opere fiction, che per il solo fatto di focalizzarsi sul personaggio tendono a esaltarlo. La soluzione si è trovata nel rinunciare a ritrarlo con piani ravvicinati e nel lasciare che il pubblico lo identificasse grazie al suo impermeabile bianco, che si staglia sui grigi e sui neri dei paesaggi e degli altri personaggi (funzione compositiva).



Questa panoramica circolare in "Dies irae" ("Vredens Dag", di Carl Theodor Dreyer, 1943, Danimarca) che riprende dei piccoli chierici in mezzo busto introduce la solennità imposta per la morte del marito della protagonista, i sospettosi convitati e alla fine lei stessa, unico personaggio innocente e sincero, che spicca per il candore del costume, in contrasto con gli abiti scuri degli altri.



In "Il gattopardo" (r. di Luchino Visconti, 1963, IT-FR) i costumi giocano un ruolo fondamentale nella caratterizzazione e nell’attribuzione alle diverse classi sociali dei personaggi. Nella sequenza del ballo il costume assume anche una funzione pienamente spettacolare, insieme alla scenografia e alla complessa illuminazione. Lo scopo è mostrare la magnificenza di un mondo in declino, ma di cui gli autori vogliono trasmettere il fascino. Il costumista Piero Tosi realizzò solo per la sequenza del ballo più di trecento costumi: gli abiti femminili erano tutti diversi tra loro e almeno cento prevedevano anche il cappotto e altri indumenti che venivano cambiati durante la sequenza.



Nell’episodio della surreale rassegna di moda ecclesiastica in "Roma" (r. di Federico Fellini, 1972, IT-FR) una serie di alti prelati assiste a una sfilata di vestizioni sempre più bizzarre. Il tutto accade in un ambiente oscuro, dall’enorme volume e quasi privo di arredi: così sono i costumi gli unici protagonisti della sequenza. Il suo climax è dato dall’apparizione di una scenografia sfavillante, al cui apice siede il portatore di un costume regale, quasi divino, presumibilmente quello che dovrebbe essere riservato al papa. La sequenza vuole essere una sferzante critica ai comportamenti e ai valori mondani della Chiesa: i costumi e la scenografia di Danilo Donati sono volutamente antirealisti, in modo che risulti evidente la portata metaforica della messinscena.



Parti del costume


Ne "Il cappello a cilindro" ("Top Hat", r. di Mark Sandrich, 1935, USA) i due attori protagonisti Gingers Rogers e Fred Astaire intervennero nella caratterizzazione dei proprii personaggi, sia in fase di scrittura che di costume e make up. Anche la Rogers creò da sola il costume che indossa nella scena,  opponendosi a Fred Astaire che, prima di cedere, dichiarò di trovarne il piumaggio degno di "una gallina appena assalita da un coyote". 



“Il bastone da passeggio, in certi momenti dà a Malcolm un’aria edwardiana e poi, subito dopo, si trasforma in un vero e proprio spadino, usato per ferire ed uccidere. La bombetta ed il bastone da passeggio sono due tocchi ironici del costume. E poi, c’erano i famosi skin-heads, i più pericolosi di tutti: la loro immagine incuteva effettivamente terrore ed era fatta di elementi grotteschi". (Milena Canonero, costumista di "Arancia Meccanica", "A Clockwork Orange", r. di Stanley Kubrick, 1971, USA, UK). 



L'incipit di "Fino all'ultimo respiro" ("À bout de souffle", r. di Jean-Luc Godard, 1960, Francia) presenta da subito il protagonista Michel, comunicando l'idea, attraverso la mimica, i gesti e il costume (in cui il copricapo gioca un ruolo essenziale) che si tratta di un personaggio al limite della caricatura, che gioca a fare il duro senza davvero esserlo. 



In questa scena de "Il grande Lebowski" ("The Big Lebowski", r. dei fratelli Coen, 1998, USA, UK) viene presentato il personaggio di Jesus, un concorrente dei tre amici protagonisti. Il tono è farsesco, reso dalla recitazione sopra le righe, ma anche dagli accessori bizzarri del personaggio (gli anelli, il copridito, la retina). 




Il cappello lanciato nel 1865 per gli uomini della frontiera, il Boss of the Plains (che comunque non era del tutto simile a quelli comunemente usati nel West), era diverso dal ten-gallon hat indossato tra gli anni Dieci e gli anni Venti dall’eroe del western Tom Mix (nella clip: "Riders of the Purple Sage", r. di Lynn Reynolds, 1925, USA). Entrambi comunque sono differenti dal cappello che ha cominciato a imporsi nei western a partire dagli anni Quaranta, che tutti oggi pensano essere il cappello da cowboy, chiamato da alcuni Texas hat. Il fotogramma è tratto da "I segreti di Brokeback Mountain" ("Brokeback Mountain", r. di Ang Lee, 2005, USA).