IL CIBO IN "2001: ODISSEA NELLO SPAZIO"


"They could not eat it, and it could not eat them; therefore it was not important".  Il cibo del progresso in "2001 A Space Odyssey" di Stanley Kubrick. Di Ilaria Marzia Orsini.


Ritenuto da taluni indigesto e da altri appetitoso, il cinema di Stanley Kubrick mette spesso in scena il cibo[1]. Per fare solo alcuni esempi, in A Clockwork Orange (1971) il protagonista Alex è un accanito bevitore di latte plus, le dispense dell’Overlook Hotel in The Shining (1980)  traboccano di provviste mentre in Full Metal Jacket (1987) la recluta Golmer Pyle (it. Palla di Lardo) è, appunto, abbondantemente sovrappeso. Anche in 2001: A Space Odyssey (1968), film spesso ricordato per le sue atmosfere rarefatte, asettiche e incorporee, sono messi in scena ben cinque pasti (oltre a numerosi altri riferimenti al cibo) tanto che l'immagine della nutrizione serve da contrappunto, unitamente al ricorrere dell'icona del monolite, alla scansione spazio- temporale della pellicola.

L'Odissea di Kubrick non è solo un viaggio nello spazio vuoto e allucinato della solitudine cosmica[2], ma anche un percorso iniziatico che, grazie alla mediazione del corpo e agli stati alterati di coscienza provocati, si direbbe, dall'ingestione di sostanze psicoattive, rende il protagonista Bowman allo stesso tempo umano e divino, in una sorta di trasfigurazione e metamorfosi della materia (anche visiva), che è quanto poi accade durante il processo chimico (quasi alchemico e magico) dell'assunzione degli alimenti e della loro digestione[3].

La pellicola si può leggere dunque come la rappresentazione di un rito di passaggio che si estende dal Neolitico all'età contemporanea, ovvero come l'esplicitarsi di una ricerca esistenziale attraverso il potere estatico di immagini che inebriano e che consentono l'ingresso nel mondo nuovo e la concomitante trasformazione del corpo umano in corpo mistico (il feto astrale dell'immagine finale). Le tappe di questo percorso sono segnalate dalla presenza del monolite che si costituisce come vera soglia, finestra che si schiude su mondi alieni, squarcio e limite fra esterno ed interno. Il monolite è, cioè, un'autentica bocca spalancata sull'ignoto e sull'infinito, cavità che inghiotte, come un mostro leggendario o come la biblica balena di Giona, per purificare e restituire a nuova vita.

La figura di Bowman possiede alcuni tratti in comune con quella del profeta biblico. Così come Giona è profeta della fuga, autentico anti-eroe, così il personaggio dell'astronauta kubrickiano è anch'esso gettato nel mare cosmico e inghiottito dal monolite in orbita attorno alle lune di Giove. Questa storia biblica, che tanta influenza ha avuto in ambito letterario (forse non occorre neppure ricordarne l'importanza per Melville e Hemingway) riveste un ruolo ancor più significativo nell'ambito della cultura ebraica, religione cui la famiglia del regista, di origine austriaca, apparteneva. Il profeta è ritenuto dagli ebrei il "Vero Giusto" e la sua storia viene letta durante una delle festività religiose principali, al crepuscolo del Yom Kippur. Questo farsi cibo per la balena per poi diventare cibo spirituale per gli uomini è caratteristico sia di Giona che di Bowman. Come il patriarca portò la salvezza a Ninive, anticipando la missione salvifica di Cristo, così, presumibilmente Bowman, nella nuova veste di Starchild, porterà saggezza alla Terra cui fa ritorno.

 Al di là di questa presenza metaforica, il cibo si incarna inoltre in immagini affatto concrete. Come si diceva, fin dalla prima macrosequenza, quella preceduta dal cartello The Dawn of Man, il cibo riveste un’importanza centrale ed è strettamente connesso all’apparizione del monolite. Quest’ultimo infatti ispira, come suggerito dal montaggio, un passo fondamentale nell’evoluzione dei primati, cioè il passaggio da una dieta vegetariana a una carnea[4]. La sequenza presenta infatti un gruppo di scimmie antropoidi che a malapena riesce a sfamarsi di poche frasche e arbusti secchi. Il gruppo è affamato, alle soglie stesse della sopravvivenza. E nemmeno può abbeverarsi perché l’unica pozza d’acqua è presidiata da un altro clan di primati bellicosi. Anzi, a dire il vero, il gruppo delle scimmie antropoidi è anche minacciato da un feroce predatore, un giaguaro dagli occhi argentati che assale il gruppo nottetempo per farne la propria preda.

La comparsa improvvisa del monolite cambierà quest’ordine di cose. Ma non solo: osservando con attenzione la scena in cui gli animali si avvicinano alla pietra misteriosa si nota che le scimmie tentano subito un approccio fisico con questo oggetto oscuro: esse lo toccano, lo annusano e sembra quasi che cerchino di morderlo, leccarlo, assaggiarlo.

Una conferma di questa interpretazione viene dal romanzo di Arthur C. Clarke scritto come variazione personale della sceneggiatura composta a quattro mani con Kubrick. Senza voler ridurre il film a trasposizione visiva del romanzo né quest’ultimo a didascalia esplicativa della pellicola, mi sembra però possibile affermare che in ciascuno dei due testi si senta scorrere la voce dell’altro.

Nel romanzo, infatti, Moon-Watcher, il capo clan delle scimmie antropoidi, crede che il monolite, comparso d’improvviso un mattino, non sia altro che una specie di pianta e ne tasta perciò la commestibilità:

The white round pebble-plants were very tasty (though there were few that produced violent illness) perhaps this tall one…? A few licks and nibbles quickly disillusioned him. There was no nourishment here[5].

In realtà il monolite, che assume il ruolo di guida nel rito di passaggio fra la condizione primitiva e quella evoluta, è portatore di un nutrimento diverso da quello fisico. È infatti grazie ad esso che la scimmia dominante impara ad utilizzare un osso come arma e quindi a procacciare del cibo per sé e per tutto il clan. Il montaggio incrociato di questa sequenza, ormai divenuta celebre, ci mostra infatti da un lato il primate che schianta con l’osso il teschio di un tapiro e dall’altro inserisce sia inquadrature del monolite e di un tapiro abbattuto che cade a terra, collegando così in modo esplicito, e unicamente grazie al linguaggio filmico, il parallelepipedo di pietra nera con il cibo e la sopravvivenza della specie. La dieta vegetariana appare quindi associata alla fame, alla malnutrizione mentre la dieta carnea rappresenta la prosperità e il progresso. Tuttavia è stata notata la grande valenza ironica di questa scelta registica: l'evoluzione umana non è derivata da un processo spontaneo e razionale, ma dall'intervento esterno di una potenza aliena che si fa portatrice di cibo[6]. In tutto il film ciò, vorrei aggiungere, che viene consumato è sempre stato procacciato da altri: il monolite ispira l'uso dell'arma nella prima sequenza, l'hostess dell'Orion porge a Floyd il vassoio fornito dal computer, i sandwich degli astronauti in volo verso Clavius sono già pronti, così come sarà Hal a fornire il pasto per gli astronauti del Discovery e di nuovo sarà il monolite, o chi per lui, ad imbandire il desco per il senescente Bowman. Quanto detto getta dunque nuova luce sul rapporto che intercorre fra cibo e tecnologia, sia essa l'arma di osso o il computer assassino Hal: essa dà vita, ma anche morte.


Infatti, prosegue la sequenza di Dawn of Man, il cibo viene sì suddiviso all’interno del clan, presumibilmente in ottemperanza alle gerarchie del branco e viene assunto ben in gruppo, ma con la cinepresa attenta a mostrarci ciascun membro avidamente preoccupato di non lasciarsi sfuggire il proprio brandello di carne. Questa modalità di assunzione solitaria del cibo, ovvero la sua mancata assunzione (per esempio la torta di compleanno di Poole), tornerà all’interno del film sotto forma di silenzio sia durante il pranzo di Bowman e Poole sul Discovery, sia nella sequenza finale dell’hotel stile Régence.

 

Il rapporto col cibo è dunque ambivalente: da un lato la carne garantisce la sopravvivenza della specie, dall’altro essa si riallaccia all’idea di morte e adombra lo spettro del cannibalismo. Si tratterebbe in questo caso, però, di un cannibalismo profano[7] che degrada la vittima ad alimento non diverso da qualsiasi altro, negandone perciò l'umanità. I brandelli sanguinanti del tapiro di cui si nutrono i primati sono un cibo crudo, non trasformato, non passato attraverso il rito del fuoco[8]. In questo modo esso dà sì vita, ma porta sempre con sé la memoria della morte[9]. L’arma usata per la caccia, un osso, è infatti ciò che resta di una preda dopo l'uccisione, ciò che non può essere ulteriormente consumato ed essa dà la morte non solo ai mansueti tapiri ma anche alle altre scimmie antropoidi. La sequenza successiva al pasto del branco vede, infatti, i primati dirigersi verso la pozza d’acqua nel territorio di un clan nemico. Assistiamo ora a un altro passo dell’evoluzione: l’arma usata per cacciare viene rivolta contro i propri simili e non solo per tramortire, ma con l’accanimento aggressivo di colpi continui e ripetuti contro la sagoma già riversa a terra[10]. Sembra quasi che il nemico venga punito e destinato al pasto del branco in una estrema espressione di odio cieco e di disprezzo[11].

Pare dunque che da questo atto sia destinata a svilupparsi la civiltà tecnologica umana, come mostra il gesto di trionfo della scimmia, che lancia verso l’alto l’osso/cibo/arma. Quest'immagine serve da raccordo con il mondo del futuro dove, come è noto, l’astronave bianca stagliata sul fondale nero dello spazio si sostituisce all’oggetto lanciato verso l’alto. L’icona del cibo conquistato attraverso le armi si collega per ellissi al traguardo ultimo del progresso umano, quello cioè, così almeno era lecito pensare negli anni della race to space, del volo spaziale. Da quanto raccontato nel volume di Jerome, inizialmente l’astronave che si sostituisce all’osso doveva essere una stazione orbitante di missili nucleari puntati verso la terra, cosa questa che avrebbe collegato direttamente l’aggressività preistorica dell’arma/osso al mondo futuro. Nel film compiuto, però, non vi è traccia di questo riferimento. Vorrei però osservare che il balletto delle astronavi sulle note di An der shoenen blauen Donau in realtà è un’immagine molto meno ottimista di quanto sembri a prima vista. Il valzer di Strauss è infatti il canto del cigno di una parte di società, l’aristocrazia dell’impero asburgico, che volteggiava sull’orlo del baratro e non si rendeva conto dell’imminente collasso austriaco. Inoltre, a voler essere precisi, il film solitamente diviso in quattro parti (la sequenza della preistoria, la scoperta del monolite sulla Luna, il viaggio del Discovery, il trip di Bowman oltre l’infinito) presenta solo tre cartelli (The Dawn of Man, Mission Jupiter, Jupiter and beyond the infinite). Di fatto quindi, almeno a livello di codici grafici non diegetici, anche il mondo delle astronavi appartiene all’alba dell’uomo e alla sua aggressività.


In questa seconda parte dell'alba dell'uomo (forse il suo crepuscolo) l'umanità appare dunque libera dalla carestia e svincolata dalla ricerca di cibo, che però viene insistentemente offerto ai personaggi a sottolinearne da un lato l'animalità e la corporeità, e dall'altro il consumismo e la superficialità. Basti pensare agli astronauti in volo verso la base lunare Clavius, nome derivato da quello del matematico cinquecentesco Christopher Clavius, ma molto simile al latino clavus, clava. Forse un ricordo della clava scimmiesca? Essi si avvicinano al luogo di un ritrovamento ( quello del monolite) in grado di modificare la storia della Terra come se si stessero recando a un pic-nic, con tanto di sandwich e macchina fotografica per la foto ricordo e non sembrano poi molto diversi, nella loro sciocca conversazione, dai loro progenitori neolitici.

È indubbio che questa ricorrenza del cibo all’interno dello scenario avveniristico abbia anche la funzione di ancorare alla dimensione quotidiana un mondo altrimenti straniante. Anche nel futuro tecnologico l’uomo non può sfuggire alla necessità fisiologica di nutrirsi e di andare alla toilette. È anche presente un elemento ironico e parodico in questa sequenza sul cibo spaziale. Il vassoio con il pranzo servito a Heywood Floyd dalla graziosa cosmo-hostess ricorda i pasti serviti sui voli di linea, così artefatti da essere privi di sapore e dai colori così improbabili da svelarne immediatamente la poca genuinità. Il cibo, in queste scene, è ridotto alla sua essenza liquida e viene assunto tramite cannucce a pressione per evitare che si disperda nell’ambiente a gravità zero[12]. Ormai privato di qualsiasi forma riconoscibile, esso rimane però presente in effige tanto che sui contenitori alimentari sono disegnati, in corrispondenza dei vari gusti, un pesce, del mais, patate fritte, carote e caffè.

Egualmente irriconoscibile è il pranzo che consumano gli scienziati diretti a Clavius: sandwich di pollo, prosciutto e formaggio sono ridotti a rettangoli indifferenziati e indistinguibili. Il cibo del futuro si è allontanato quanto più possibile per forma, colore e consistenza dalla sua origine animale. È un cibo triturato, sminuzzato e di fatto snaturato, distante dalla crudezza sanguinante della carne vista in precedenza. Esso non va più procacciato, anzi è fornito già pronto grazie alla tecnologia. A bordo del Discovery è infatti il computer Hal che fornisce il cibo, ma, come si diceva più sopra, quasi ad eco dell’osso sia utensile che arma, oltre alla vita esso dà anche la morte: Hal riveste cioè il ruolo di una 'madre-natura tecnologica' nutrice e divoratrice, in grado di nutrire e di assassinare i suoi figli senza che se ne possa capire la ragione[13].

 

Parallelamente al progressivo assottigliamento del numero dei personaggi e alla conseguente rarefazione dei dialoghi, anche il pasto di Poole e Bowman avviene nel più perfetto silenzio, con i due astronauti che pranzano di fronte alla trasmissione televisiva della BBC che ha per oggetto loro stessi. Anche il cibo del Discovery è un cibo senza forma: una poltiglia morbida e bollente dai vari colori: bianco, marrone, arancione e verde.

L’unico cibo che conserva la forma a noi usuale è la torta di compleanno che i genitori di Poole mostrano al figlio attraverso il videomessaggio di auguri. Tuttavia anche in questo caso non c’è comunicazione e nemmeno possibilità di consumo. In 2001 il cibo è assunto senza alcun rituale conviviale, non viene condiviso e non soddisfa alcuna funzione sociale.

Giunto in prossimità di Giove, Bowmann ormai rimasto l'unico superstite della spedizione, si lancia con la capsula verso una luna del pianeta attorno a cui vede orbitare il monolite. Attirato dal misterioso parallelepipedo nero, l'astronauta sembra cadervi dentro, esserne inghiottito. Inizia qui il suo viaggio nell'ignoto, una sorta di trip psichedelico in cui la cultura degli anni sessanta vide la replica dei viaggi mistici generati dall'assunzione di droghe. Seguendo il percorso iniziatico del rito di passaggio, questa fase sarebbe dunque quella della discesa agli inferi e del confronto con i mostri che purifica e rigenera. Anche dal punto di vista antropologico, in questi riti erano spesso usate sostanze psicottive a fini estatici: la sostanza allucinogena serviva a ricercare stati percettivi alterati che mettessero in contatto diretto con il soprannaturale. Fra i grandi riti di passaggio della storia, mi sembra che in questa sede meritino un cenno i Saturnali romani, in cui veniva celebrata la morte del vecchio sole e la rinascita del sole fanciullo, che quasi sembra ripredere il nome di Star Child che assume Bowman alla fine del film. Fra le feste più care alla cultura latina, essi erano legati al solstizio d'inverno e ai cicli cosmici delle stagioni, cui evidentemente fa riferimento tutta un'iconografia e simbolgia del cerchio poi passata in eredità al cristianesimo. Non è forse un caso allora che il cerchio, cioè il ciclo di nascita - morte - rinascita, torni spesso come immagine nella pellicola kubrickiana: l'osso rotante, la stazione spaziale, l'anima del Discovery, la capsula di Bowmann, l'occhio di Hal, per non parlare poi della forma tondeggiante dei pianeti. Diventa allora molto interessante sottolineare che inizialmente il pianeta verso cui la missione del Discovery era diretta sarebbe dovuto essere Saturno. Solo all'ultimo momento Kubrick decise di cambiare la sceneggiatura di Clarke e optò per Giove, poichè ritenne che gli effetti speciali a sua disposizione non gli avrebbero consentito di dare forma credibile agli anelli del pianeta. Nel romanzo, però, il pianeta verso cui si muove la missione resta Saturno, immagine che si sarebbe ben collegata da una parte ai riti dei Saturnali romani e dall'altra avrebbe rinforzato un tropo iconico già forte, quello dell'anello che torna anche, dal punto di vista esclusivamente stilistico, nell'uso dell'obbiettivo fish-eye che distorce l'immagine ai bordi fino a curvarla in un cerchio.

Nella penultima sequenza, quella cioè successiva al trip di Bowmann e precedente la sua rinascita come Starchild, vediamo ancora una volta l’astronauta mangiare. Trasportato dagli extraterrestri in una camera d’albergo o vittima di una allucinazione[14], Bowman siede da solo di fronte a una tavola elegantemente apparecchiata con stoviglie di pregio, calici di cristallo, posate d’argento. Nel piatto si scorgono degli alimenti, forse delle verdure e della carne. Sul tavolo è posato del pane. Nel tendere una mano, Bowmann urta accidentalmente il calice del vino che si infrange al suolo. Questo è il preludio alla sua morte e rinascita come Starchild, un feto astrale[15] grande quanto un pianeta che torna ad affrontare la Terra natale. La tavola settecentesca sottolinea dunque anche un tempo ciclico, dove passato e futuro si confondono. Mi piace però credere che la scelta di arredare la stanza nello stile del secolo dei Lumi non sia stata casuale. L'Odissea della Razionalità umana finisce dunque in un passato artefatto e ricostruito, dove di razionale non rimane nulla, né lo spazio né il tempo. Anche in quest'ultima sequenza torna il motivo del cerchio, espresso soprattuto nel guardarsi di Bowmann come in uno specchio temporale, una sorta di uroburo dello sguardo che mostra ancora una volta il ciclo della fine e dell'inizio e, di nuovo paradossalmente e ironicamente, la nascita del feto astrale coincide con la fine del film.

Quasi espressione dell'orologio biologico umano, fatto di cicli di fame e sazietà, la presenza dialettica del cibo costituisce una melodia in contrappunto alle armonie dominanti già molte volte sottolineate dalla critica cinematografica: il mito della razionalità, lo scenario futuro, il rapporto distruttivo uomo macchina. Sia esso àncora all'animalità umana o mediatore per l'ingresso verso il mondo divino, il pasto, rituale ricorrente attraverso i millenni, accompagna lo sviluppo dell'umanità attraverso un'odissea non solo nello spazio, ma anche nel corpo.

 

 

[1] Cfr CHION, M., 2001. Un’odissea nel cinema, Torino, Lindau, 2000, p.150.

[2] Per le numerose interpretazioni della pellicola si veda EUGENI, R.,  Invito al cinema di Stanley Kubrick, Milano, Mursia, 1995.

[3] Cfr. RIGOTTI, F., La filosofia in cucina. Piccola critica della ragion culinaria, Bologna, Il Mulino, 1999, pp. 33.35.

[4] Cfr. HARRIS, M., Buono da mangiare. Enigmi del gusto e consuetudini alimentari, Torino, Einaudi, 1990.

[5] CLARKE, A. C., 2001 A space Odyssey, London, Orbit, 2001, p.11

[6] EUGENI, R.,  Invito al cinema di Stanley Kubrick, Milano, Mursia, 1995, p. 70-80.

[7] Cfr. VOLHARD, E., Il Cannibalismo, Torino, Bollati-Boringhieri, 1949.

[8] Cfr. LEVI-STRAUSS, C., Il crudo e il cotto, Milano, Il Saggiatore, 1968.

[9] E’ stato sottolineato come la presenza esibita di ossa di animali in questa sequenza stia ad indicare anche che lo stadio evolutivo cui sono arrivati gli ominidi è quello precedente ai riti della sepoltura. Tuttavia di nuovo nella macrosequenza Jupiter and beyond the infinite assistiamo di nuovo a una mancata sepoltura: Bowman uscito con la capsula per recuperare il corpo di Poole, è costretto ad abbandonare al cosmo l’amico per poter rientrare nell’astronave.  Il corpo di Poole è esposto all’attenzione dello spettatore in una immagine composta in modo da ricordare una Pietà quando la navetta ne regge il cadavere con le braccia meccaniche protese in avanti. Anche i corpi dei tre astronauti ibernati sono, dapprima metaforicamente, poi di fatto, tre salme insepolte, uesto a ulteriore conferma dell’ambivalenza del significato di progresso in Kubrick. Quando nel 1979 Ridley Scott dirigerà Alien, raccogliendo e sovvertendo l’eredità di 2001, riprenderà sia la tematica relativa al cibo che quella relativa all’esposizione e sepoltura dei corpi. Nella pellicola infatti si assiste ad una vera cerimonia funebre, mentre i cadaveri degli astronauti attaccati dall’alieno non sono ritrovati, proprio perché la creatura li ha completamente divorati.

[10] E’ curioso notare come nel film Kubrick scelga di non riportare una scena inizialmente prevista nella sceneggiatura e presente nel romanzo di Clarke: l’uccisione da parte degli ominidi del loro predatore naturale, il giaguaro dagli occhi argentati (cfr. JEROME, A., The Making of 2001, New York, New American Library, 1968) Questo forse indica in Kubrik la volontà di sottolineare come l’aggressività umana sia rivolta prevalentemente contro i propri simili.

[11] Cfr. MONFERDINI, L., Il Cannibalismo, Milano, Xenia, 2000, p.8.

[12] Questo in realtà è proprio quanto accade a parte dei pasti degli astronauti dello Shuttle. Chi fosse interessato a gustare una vera cena da astronauta potrà comprare per pochi dollari delle buste originali allo Space Shop del Kennedy Space Center di Cape Canaveral, Florida.

[13] Durante la trasmissione della BBC viene riferito che gli altri tre astronauti membri dell’equipaggio sono stati ibernati per risparmiare le scorte di cibo. Un’ulteriore eco fra cibo, vita e morte. Inoltre, nel film di Kubrick la follia di Hal rimane senza spiegazione contrariamente a quanto appare nel libro, dove essa viene attribuita alla conoscenza da parte del computer del vero scopo della missione. Lo spettatore non può far altro che speculare invano sulle motivazzioni della pazzia, così come spesso gli uomini si affannano a cercare razionalità nella natura. Cfr. JACKSON, E., Cibo e trasformazione, Milano, Zephyro Edizioni, 2000.

[14] La prima interpretazione è quella suggerita nel romanzo, ma il film lascia la scelta allo spettatore.

[15] Cfr anche la bella analisi strutturale del film in DUMONT, J, MONOD, J., Le Foetus Astral, Paris, Burgois, 1970