IL CINEMA POLITICO ITALIANO '62-'76


A partire dagli anni Sessanta, con la politicizzazione della società italiana, si formò un pubblico di massa di orientamento progressista che chiedeva un maggior impegno sociale. Una serie di registi rispose a questo bisogno realizzando film spesso ispirati all'attualità politica e che, approfittando di un certo rilassamento della censura che aveva fatto strage di film negli anni Cinquanta, prese apertamente positzione su problematiche prima ignorate. Per la prima volta il cinema denunciò il fenomeno mafioso, la speculazione edilizia, la corruzione politica, rivisitando anche episodi della storia italiana in chiave estremamente critica. Lo stile di questi film fondeva un ritmo ispirato spesso alla tradizione statunitense con modalità di tipo documentaristico. Il genere si concluse dopo la metà degli anni Settanta, quando si affievolì la spinta alla contestazione che aveva animato per un decennio la realtà italiana.


I registi che si impegnarono nel cinema politico furono Francesco Rosi (Salvatore Giuliano, 1962, Le mani sulla città, 1963, Uomini contro, 1970, Il caso Mattei, 1972, Lucky Luciano, 1973, Cadaveri Eccellenti, 1975), Elio Petri (A ciascuno il suo, 1967, Indagine su un cittadino al di sopra di ogni sospetto, 1970, La classe operaia va in paradiso, 1972, Todo Modo, 1976), Gillo Pontecorvo (con il capolavoro La battaglia di Algeri, 1966, Queimada, 1969), Giuliano Montaldo (Sacco e Vanzetti, 1971), Damiano Damiani (Il giorno della civetta, 1968), Florestano Vancini (Il delitto Matteotti, 1973 e Bronte cronaca di un massacro, 1972), Giuseppe Ferrara (Il sasso in bocca, 1970). Gli sceneggiatori che si distinsero furono Franco Solinas e Ugo Pirro. L'attore simbolo del cinema politico fu Gian Maria Volontè.



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Il cinema politico in Italia
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