La recitazione è l’insieme delle azioni che l’attore compie nel fingere di essere il personaggio del racconto. La recitazione, insieme alla narrazione, è la base minima della drammaturgia, sia quella teatrale che cinematografica.
La recitazione conta sulla totale mobilitazione del corpo dell’attore. È difficile dividere questo sforzo in elementi costitutivi, ma in sede di analisi può essere utile farlo.
a. Il movimento. L’attore si muove nello spazio dell’inquadratura: da un lato all’altro di una stanza, lungo una strada, salendo in auto...
In questo piano sequenza tratto da Cronaca di un amore (r. di Michelangelo Antonioni, 1950, Italia) la camera segue costantemente i due amanti mentre progettano l'omicidio del marito. Ad ogni "stazione" la loro discussione si fa via via più tesa, fino a quando sfocia nella manifestazione violenta della sfiducia reciproca, nel punto esatto in cui il cerchio si chiude. Così, un solo movimento di camera riassume l'intero arco narrativo del film: l'amore tra i due e l'impossibilità di viverlo.
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b. La gesticolazione. La gesticolazione è l’insieme dei movimenti degli arti superiori.
In questa scena tratta da Riff Raff (r. di Ken Loach, 1991, UK) il protagonista partecipa ai funerali della madre, insieme ad altri familiari. La situazione è ripresa in gran parte con PM e PA, i più adatti a riprendere situazioni comiche in cui, come in questo caso, è importante la gesticolazione. Quando la gag raggiunge il suo climax, si passa al CM in modo che siano le ceneri e i movimenti confusi del gruppo a catturare l'attenzione del pubblico.
c. La mimica. La mimica è l’insieme dei movimenti del volto.
In questa scena di Gioventù, amore e rabbia (The Loneliness of the Long Distance Runner, r. di Tony Richardson, 1962, UK) si noti nella prima scena la straordinaria capacità mimica dell'attore Tom Courtenay, che rende con smorfie, scatti e sorrisi l'inquietudine e l'imbarazzo del protagonista, ma anche la sua determinazione: si guardi come diviene improvvisamente intenso quando dichiara il suo amore per Audrey. Si noti nella seconda scena il goffo dondolio che imprime alla sua andatura.
d. La voce.
In La classe operaia va in Paradiso (r. di Elio Petri, 1971, Italia) è soprattutto la recitazione di Gian Maria Volonté a costruire il personaggio con le sue interiezioni, i borbottii, i gesti, i silenzi, le smorfie, la parlata marcatamente milanese che caratterizzano la sua performance. Nella scena che proponiamo, in cui Lulù Massa perde un dito, evento che darà inizio alla sua confusa presa di coscienza.
e. La fisionomia è pure un elemento decisivo della recitazione: non solo perché la fisicità di un attore può essere più o meno adatta per un certo ruolo, ma anche perché egli può lavorare sulle caratteristiche del suo volto e del suo corpo.
L'ottima qualità della trasposizione di Romeo e Giulietta (Romeo and Juliet, r. di Franco Zeffirelli, 1968, UK e Italia) si deve anche alla felice scelta dei due attori protagonisti: Leonard Whiting e Olivia Hussey. Parte del merito della forte credibilità dei due attori si deve forse alla giovane età (17 anni lui, 16 lei), la più vicina a quella immaginata da Shakespeare (16 e 13) tra le più di cento riduzioni della tragedia per il grande schermo.
In ambito cinematografico la recitazione deve obbedire all’obbligo di verosimiglianza. Ma ciò che appare verosimile in una certa epoca non lo è necessariamente per un’altra. I modi di recitazione degli anni ’50, ad esempio, appaiono oggi in generale piuttosto teatrali, ma all’epoca sembravano estremamente realistici. Si possono però individuare alcuni modelli di recitazione che ciclicamente tornano in auge.
- Il modello Stanislavskij, che punta alla totale immedesimazione dell'attore nel personaggio.
In questa scena tratta da 21 grammi (21 Grams, r. di Alejandro González Iñárritu, 2003, USA) una dei protagonisti, Cristina Peck, è corsa in ospedale perché avvisata che il marito e i due figli sono stati vittime di un incidente. II lunghi PPP servono a dare spazio alla recitazione dell'attrice che si immedesima totalmente nella parte.
- Il modello brechtiano, secondo il quale l'attore dovrebbe porgere il personaggio al pubblico, senza immedesimarvisi.
In questa scena de La recita (O Thiasos, r. di Thodoros Anghelopulos, 1975, Grecia) "Agamennone", il capocomico, è tratto in arresto e la figlia cerca di aggredire chi ha denunciato il padre. La recitazione non è affatto naturalistica: gli attori "mostrano" la propria parte, "porgono" il proprio personaggio, senza immedesimarsi, secondo le indicazioni del metodo brechtiano. Non a caso la scena, fortemente "teatralizzata", avviene sul palcoscenico.
- Il modello non recitativo. Vi sono registi che utilizzano gli attori sostanzialmente lavorando sul loro aspetto, senza aspettarsi nulla dalla recitazione, e considerandoli una sorta di elemento mobile della messinscena.
In L'eclisse (r. di Michelangelo Antonioni, 1962, Italia) Vittoria ha lasciato Riccardo, che però non riesce a rassegnarsi e la va a cercare sotto casa sua. Antonioni, invece che lavorare sulla recitazione, preferisce rendere le situazioni attraverso l'accorta ricerca del punto di ripresa e lo spostamento del corpo degli attori nello spazio.
- Il modello basato sull’improvvisazione.
Ken Loach chiede all'attore di domandarsi che reazione avrebbe il suo personaggio in quella certa situazione, e di recitare di conseguenza. In questa scena, tratta da La canzone di Carla (Carla's Song, 1996, ES, UK) si descrive il tentativo di suicidio della ragazza. Loach non aveva avvisato Carlyle che avrebbe trovato l'attrice in un bagno di sangue. Carlyle sapeva solo che, di fronte ad una qualsiasi sorpresa, avrebbe dovuto reagire come il suo personaggio.
- La recitazione tipizzata. Si ha quando l’attore non interpreta un personaggio dotato di una propria individuale psicologia, ma un tipo sociale, un po’ come accadeva coi personaggi della commedia dell’arte.
In questa sequenza tratta da I soliti ignoti (r. di Mario Monicelli, sceneggiatura di Suso Cecchi D'Amico, Age & Scarpelli, 1958) come in tutti i film del genere "commedia all'italiana" vengono presentati una serie di personaggi che sono "tipi" sociali, fortemente connotati per la loro appartenenza di ceto e la provenienza regionale.