LA RESA LUMINISTICA


LA LUMINOSITA' E IL CONTRASTO

La luminosità è un termine generico che sta ad indicare la percezione di intensità luminosa che un certo oggetto pare riflettere o una fonte di luce emettere. Le fonti di luce hanno diverse intensità e ciò ovviamente influisce sulla luminosità degli oggetti che esse investono.

In questa scena tratta da La signora di Shangai (The Lady from Shanghai, di Orson Welles, 1947, USA), il protagonista è attratto dal canto della sua amante. Come Ulisse cede al richiamo della pericolosa sirena. Welles illustra questo duello attraverso l'accorta scelta dei punti di ripresa, ma anche con l'utilizzo della luce. Sul finale, la ripresa del volto di lui  in PPP e tre quarti, segnato da ombre, ne evidenzia la sconfitta: l'ultima inquadratura è sul volto luminoso e frontale di lei, dolente, ma vittorioso.


Nell’immagine cinetelevisiva l’opposto delle zone di luce sono le ombre e il buio. Le ombre si dividono in ombre proprie (o ombreggiature), e ombre proiettate (o portate). Un’ombra propria si ha quando la luce non riesce ad illuminare parte del soggetto. L'ombra proiettata si ha quando il fascio di luce viene interrotto.

In questa scena tratta da Senso (r. di Luchino Visconti, 1954, Italia), la protagonista vuol spingere l'amante a dichiararsi malato e lui finge di resistere all'offerta. La scelta di riprenderlo di profilo (lasciandolo in parte nell'ombra) suggerisce la sua ambiguità, in contrasto col piano frontale di lei che ne sttolinea impietosamente l'ingenuità.


I film tedeschi degli anni '20 furono importanti anche per l'utilizzo della luce che venne poi definita espressionista: luci dirette e forti che producevano ombre netteNosferatu il vampiro (Nosferatu, eine Symphonie des Grauens, r. di Friedrich Wilhelm Murnau, 1922, Germania) è al riguardo particolarmente significativo.


Il contrasto è la differenza tra l’area più scura e l’area più chiara dell’inquadratura. Quando questa differenza è notevole, anche i toni intermedi (i grigi per il Bianco e nero o le sfumature per il Colore) tendono a ridursi di numero. La gamma tonale, cioè, si restringe.

L'autore danese Carl Theodor Dreyer in La passione di Giovanna d'Arco (La passion de Jeanne d'Arc, 1928, Francia) utilizzò quasi solo PP e PPP. Il viso di Giovanna, interpretata da una intensa Renée Falconetti (e illuminata dolcemente dal direttore della fotografia Rudolph Maté -che invece riserva ai volti degli inquisitori un maggior fattore di contrasto) racconta la sua storia, senza la necessità di più ampie inquadrature d'ambientazione.


Fonti di luce morbida contribuiscono ad illuminare il volto della protagonista di Lost in Translation (r. di Sophia Coppola, 2003, USA) nella scena  finale, in cui scambia qualche effusione con l’uomo del quale si è invaghita. Il viso è privo di contrasti, lasciandolo però in ombra rispetto ad uno sfondo più luminoso, in modo da rendere la sua malinconia.



IL COLORE

I colori non sono quasi mai percepiti come puri, ma più o meno combinati, più o meno intensi, più o meno scuri. Da questo punto di vista i colori posseggono alcune qualità che ne definiscono le caratteristiche. Quelle importanti per l’analisi della resa  figurativa sono: tinta, saturazione, luminosità

La tinta (chiamata a volte tonalità) è la qualità che permette di distinguere un colore dall’altro. Nella tradizione occidentale si parla di toni caldi (rosso, arancione, giallo) e toni freddi (violetto, blu, verde). 

Matrix (The Matrix, r. Wachowski Brothers, 1999, USA) è un buon esempio di film monocromatico, nel senso che sceglie una tinta rappresentativa dell'atmosfera del film. In questo caso è il verde, che contribuisce ad una atmosfera innaturale, adatta ad un contesto in cui gli umani non esistono se non dentro un enorme programma gestito da macchine.


Per saturazione si intende l’intensità di una specifica tinta. Una tinta molto satura ha un colore vivido e squillante; al diminuire della saturazione, il colore diventa più debole. 

Ne Il mago di Oz (The Wizard of Oz, r. di Victor Fleming, 1939, USA) viene utilizzato il procedimento coloristico del Technicolor che assicurava, anche nel tempo, brillantezza e saturazione dei colori. Nel film, è la parte del sogno ad essere resa coi colori, volutamente carichi.


Così come il pittore utilizza un determinato gruppo di pigmenti (la sua tavolozza) per dipingere un quadro, allo stesso modo le opere cinetelevisive si basano su una scelta di colori prevalenti, effettuata prima delle riprese.

La tavolozza dei colori di Deadpool (r. di Tim Miller, 2016, USA).

La tavolozza dei colori di Frozen (r. di Chris Buck, 2013, USA), 


Una collezione di materiali grafici, video e testuali sull'uso del colore nel cinema. 



L'ILLUMINAZIONE

La resa  gurativa di un’immagine nel suo complesso può essere radicalmente modificata in postproduzione. L’illuminazione, invece, è l’insieme delle operazioni tese a bagnare di luce la messinscena e si realizza dunque in fase di ripresa. Essa si basa sulla manipolazione e gestione delle fonti di luce, nella loro interazione con gli elementi della messinscena e ricopre svariate funzioni.


La direzione delle luci

La direzione della luce, nel suo assetto più elementare, è sempre data da una triangolazione ai cui vertici sono la camera, il soggetto e la fonte di luce.

La luce frontale (o diretta) è collocata lungo un arco che va da 0° a 30° rispetto all’asse di ripresa. Quando la luce è perfettamente frontale si dice in asse. Quando è frontale, ma dall’alto, l’illuminazione viene chiamata butterfly.
Quando è tra i 30° e i 60° si dice tre quarti (nei Paesi anglosassoni è chiamata da alcuni Rembrandt, quando è anche dall’alto).

 La luce di taglio (o laterale) è collocata di  fianco al soggetto, in un angolo con l’asse di ripresa che va da 60° a 120°. 

Il controluce è collocato alle spalle del soggetto, crea un contorno di luce, se il soggetto è illuminato anche frontalmente, oppure una silhouette. Se la luce è collocata dalla parte opposta della camera si dice in asse.

In senso verticale le luci possono essere  dal basso dall’alto. Quando è perfettamente perpendicolare al soggetto, si dice a pioggia.

In Gilda (r. di King Vidor, 1946, USA) è interessante l'intervento del direttore della fotografia di Rudolph Maté. Nella scena la luce interviene disegnando la relazione psicologica tra i personaggi, nascondendone/scoprendone il volto. Rita Hayworth domina la scena con un controluce che lascia il suo volto nell'ambiguità. L'avvicinamento al protagonista è accompagnato dal progressivo schiarimento del suo volto, parallelo allo svelamento dei suoi sentimenti.


I direttori della fotogra a dei  film di Marlene Dietrich avevano l’indicazione, imposta dalla stessa diva, di privilegiare la luce dall’alto, come in Shanghai Express (r. di Josef von Sternberg, dir. fotogra a Lee Garmes, 1932, USA). La luce dall’alto sottolineava i suoi zigomi, ne incavava le guance, metteva in rilievo la chioma, conferendo il look sensuale e aggressivo che contribuì a rendere celebre l’attrice.



La diffusione delle luci

Le luci possono essere dure o morbide, con tutte le gradazioni intermedie. Le luci dure proiettano ombre dai bordi netti, quelle morbide hanno nei bordi ampie aree intermedie tra luce e ombra.

In questa scena tratta da Dies irae (Vredens Dag di Carl Theodor Dreyer, 1943, Danimarca) il teso colloquio tra i due amanti viene illuminato con una luce dura. Ma il posizionamento delle luci e dei personaggi è tale che il volto di lei sia pienamente schiarito, mentre la parte più espressiva di lui (gli occhi) rimane in ombra, il che contribuisce a darne un'impressione sinistra, scoprendo anche a chi va la simpatia dell'autore.


L'illuminazione di film che prediligono ombre e contrasti viene definita low key (Fight Club, r. di  David Fincher, 1999, USA).

L'illuminazione high key è basata su bassi contrasti e molte sfumature (Le amiche della sposa, Bridesmaids, r. di Paul Feig, 2011, USA). 



La temperatura colore

La luce considerata neutra, cioè non colorata, è quella del sole a mezzogiorno, poiché è l’insieme equilibrato di tutte le tinte, ovvero di tutte le frequenze che compongono lo spettro visibile. La gran parte delle luci però non è neutra: alcune delle tinte che le compongono possono essere più forti (in questo caso si dicono dominanti), oppure assenti.  Il direttore della fotografia può scegliere di neutralizzare le tinte dominanti, oppure di lasciarle o anche di produrle, per raggiungere determinati risultati visivi. 

Il labirinto del fauno (El laberinto del fauno, di Guillermo del Toro, 2006, Messico, Spagna) miscela il fantasy e lo storico. La protagonista, una ragazzina che nella storyline storica vive nella Spagna oppressa dal franchismo, deve superare, sul piano del racconto fantasy, una serie di prove. La sequenza si riferisce ad una di esse. Si noti che lo stacco tra le due temperature colore serve anche a sottolineare lo scarto tra le due linee del racconto.


Nella scena che segue, tratta dal film di Ken Loach Black Jack (1979, Regno Unito), un criminale che fingeva di essere morto si alza dalla bara e costringe il protagonista a seguirlo. La cinepresa si sposta da un'area dove prevale una dominante fredda (data dalla luce del giorno che entra dalla finestra) ad una zona illuminata da una candela che impone a ciò che la circonda (il volto del ragazzino) una dominante calda. Gli ambienti sono illuminati come a quel tempo: finestre e poche candele, senza luci aggiuntive.



Luci visibili e invisibili

Le luci possono essere divise in visibili e invisibili a seconda che facciano parte della messinscena o che siano esterne ed utilizzate solo per illuminarla. Nella gran parte delle opere cinetelevisive la messinscena è illuminata prevalentemente da fonti esterne, che il pubblico non vede.

La scena  del primo incontro tra i due protagonisti ne La fiamma del peccato (Double Indemnity, di Billy Wilder, 1944, USA) vuole illudere lo spettatore che la luce filtra a fatica dalle finestre (secondo le convenzioni luministiche del genere noir). Ma ciò dovrebbe produrre luce diffusa. In realtà le ombre nette del protagonista tradiscono l'abbondante presenza di luci invisibili dirette e forti. 



Schemi di illuminazione

Gran parte delle scene vedono la presenza di combinazioni di numerose e diverse luci, dure e morbide, visibili e invisibili, e variamente direzionate. La pratica del loro utilizzo ha fatto sì che si stabilizzassero delle funzioni che le luci possono ricoprire all’interno di determinati schemi di illuminazione. Quelle più conosciute sono:

 - Luce chiave:  è forte e netta.

Luce di riempimento: schiarisce le ombre prodotte dalla luce chiave, è meno forte e più morbida.

Controluce: si colloca alle spalle del soggetto, anche per staccarlo dallo sfondo.

- Luce di sfondo: illumina la parte della scena che non è in primo piano, serve a dare profondità o a schiarire l’ambiente.

Base light: in ambito soprattutto televisivo è la luce, solitamente alta e frontale, che serve a illuminare ambiente e personaggi in maniera minima e pressoché uniforme, su cui andare poi a costruire i volumi con luci più vicine.

La sequenza che segue è tratta da Agente Lemmy Caution: missione Alphaville (Alphaville, une étrange aventure de Lemmy Caution di Jean Luc Godard, Francia, 1965), film che narra la nascita di una storia d'amore in una futuristica società totalitaria dove i sentimenti sono banditi. La poesia di Paul Éluard riesce a scuotere la protagonista. Il suo turbamento è reso anche da una serie di cambiamenti luministici (sovraesposizione, controluce, ecc.).