MODELLI DI RECITAZIONE


Dei film di Chaplin si è soliti pensare che la loro efficacia comunicativa, che persiste a un secolo di distanza, risieda nelle peculiari caratteristiche del personaggio, in Italia chiamato Charlot, e nelle sorprendenti invenzioni comiche. Nella realtà sia le une che le altre si reggono su solide basi di linguaggio, un linguaggio cinematografico che Chaplin dominava con grande sicurezza. Si veda la famosa sequenza che segue, tratta da “Il monello” (“The Kid”, 1921, USA). La storia narra di un sottoproletario (il “Vagabondo”, come il personaggio è chiamato negli USA) che campa di espedienti e “adotta” un neonato trovato in strada. Una volta cresciuto, il piccolo si occupa di spaccare vetri mentre il “padre” giunge opportunamente sul posto a ripararli. La sequenza è costruita con un tempismo narrativo e di montaggio che funziona come un orologio, una sorta di “danza” di tre punti di vista: quelli del bambino e del Vagabondo, all'inizio separati, poi quello del poliziotto che “transita” dal primo al secondo e infine la conclusione che li riunisce tutti e tre. Si noti anche l’economia, insieme all’estrema precisione, dei mezzi linguistici utilizzati, ad esempio l’inquadratura finale, ripresa dall’unica angolazione che può permettere in una sola soluzione la scrittura del movimento “ad S” compiuto nello spazio dai tre personaggi. 


La tecnica utilizzata da Ken Loach per ricavare il meglio dagli attore (siano essi professionisti o meno) non si basa solo sulla ripresa delle scene in ordine cronologico (invece che per location). Il regista sottopone agli attori la sceneggiatura solo un pezzo alla volta, e senza dettagliare troppo. Non si tratta esattamente di improvvisare, quanto di prendere possesso del personaggio. Ken Loach chiede all'attore di domandarsi che reazione avrebbe il suo personaggio in quella certa situazione, e di recitare di conseguenza. Si prenda come esempio la scena seguente, tratta da "La canzone di Carla" ("Carla's Song", 1996, Spagna e Regno Unito). Il film narra di una profuga nicaraguense, Carla, che nel 1987 giunge a Glasgow e lì incontra un autista di bus interpretato da Robert Carlyle. I due si innamorano. In quegli anni in Nicaragua impazza una sanguinaria controguerriglia finanziata dagli USA con lo scopo di mettere in crisi la rivoluzione sandinista, che aveva trionfato in quel Paese nel '79. Carla non vuole tornare perché dovrebbe affrontare un episodio traumatico che l'ha devastata. La scena qui proposta descrive il tentativo di suicidio della ragazza. Loach non aveva avvisato Carlyle che avrebbe trovato l'attrice in un bagno di sangue. Carlyle sapeva solo che, di fronte ad una qualsiasi sorpresa, avrebbe dovuto reagire come il suo personaggio. Dichiarerà Carlyle: "That was as big a shock to me as if it had really happened. It was completely out of the fucking blue" ("Per me è stato uno shock così grande come se fosse davvero accaduto. Era completamente, fottutamente inaspettato"). Si noti che la posizione della camera facilita gli attori nell'utilizzo di questa tecnica: il mezzo di ripresa rimane fuori dalla porta e inquadra il personaggio in Piano americano. Ken Loach rinuncia ai facili Primi Piani d'effetto, a dettagli truculenti, a inquadrature numerose e frammentate, e guadagna in credibilità.


Il regista statunitense John Cassavetes ha applicato l’improvvisazione in diverse sue opere, anche piegando la modalità di ripresa alle necessità recitative. "Ombre" ("Shadows", 1959, USA).



L’interpretazione di Nikolaj Konstantinovic Cerkasov in "La congiura dei Boiardi" ("Ivan Groznyj II: Bojarskij zagovor", r. di Sergej Ejzenštejn, realizzato nel 1946, distribuito nel 1958, URSS), con i suoi movimenti volutamente artefatti, quasi meccanici, ieratici, è un esempio di recitazione distanziante.



Per il regista francese Robert Bresson gli attori non devono recitare, ma limitarsi a dire senza intonazioni particolari il testo, come se parlassero a se stessi. Il pubblico doveva essere spinto a indovinare lo stato d’animo del personaggio, mentre la recitazione lo avrebbe reso troppo evidente. "Pickpocket" (1959, FR).




Anna Magnani è considerata la più grande attrice italiana. Versatile, ma particolarmente richiesta per le parti drammatiche, è senz’altro campionessa di uno stile recitativo immedesimativo. Di lei Silvio D’Amico, direttore della scuola di arte drammatica che frequentò, diceva che non recitava, ma viveva le parti che le erano assegnate. Il suo modo di intendere la recitazione la fece apprezzare anche negli Stati Uniti, per le cui produzioni girò diversi film. A ogni modo, grazie alla sua spiccata romanità, è stata spesso chiamata a interpretare la parte della popolana passionale, diretta, in guerra con il mondo, pronta alla lacrima come al sorriso, senza però mai arrivare a fare di questi personaggi un tipo. Nelle clip: "Roma città aperta" (r. di Roberto Rossellini, 1945, IT), "Bellissima" (r. di Luchino Visconti, 1951, IT) e "Mamma Roma" (r. di Pier Paolo Pasolini, 1962, IT).



Marcello Mastroianni non ha beneficiato, al contrario di altri grandi attori italiani, di una formazione teatrale e forse per questo dalle sue intepretazioni traspare una certa naturalezza recitativa, come se non gli fosse costato fatica impersonare qualcun altro. Il suo fascino tranquillo era dovuto, oltre alle caratteristiche fisiche e al tono suadente della voce, a un’aria un po’ sorniona, al non prendersi troppo sul serio, al velo di malinconia che traspariva dalla sua mimica. La sua recitazione è andata dalla modalità tipizzata al limite del grottesco della commedia all’italiana, come in "Divorzio all’italiana" (r. di Pietro Germi, 1961, IT), a un modello distaccato e stranulato tipico dei film di Marco Ferreri, come in "La grande abbuffata" (1973, IT-FR), fino a quello immedesimativo utilizzato nei film di Fellini e in altri ancora, come in "Una giornata particolare" (r. di Ettore Scola, 1977, IT-CA).