Storia del WESTERN CLASSICO

di Michele Corsi


I PRIMI FILM CON AMBIENTAZIONE WESTERN

Il primo film con ambientazione western di cui si abbia notizia è un film di un minuto del 1898 intitolato Cripple Creek Bar Room. Il primo western con una storia minimamente articolata è "La grande rapina al treno", una produzione Edison. Il film contribuì a incoraggiare negli USA la diffusione del cinematografo come mezzo di intrattenimento: in poco tempo sorsero migliaia di piccole e malridotte sale cinematografiche chiamate "nickelodeon" dove si proiettavano film da un rullo (poco meno di 15 minuti) di ogni genere. E uno dei generi che riscosse maggior successo tra un pubblico fatto di lavoratori e immigrati fu proprio il western.

Gli ultimi anni del west si sovrapposero ai primi anni del western cinematografico, così alcuni dei protagonisti del Vecchio West si ritrovarono a recitare se stessi in qualche film. Buffalo Bill, consumato uomo di spettacolo, interpretò e diresse un film su se stesso nel 1911. Al Jennings (1863-1961) fu un bandito molto conosciuto (assaltava treni), ma, una volta graziato, si lanciò prima in politica poi nel mondo del cinema. Fu attore in diversi film, anche dirigendoli,  apportando un forte realismo (non nascondeva la povertà che la gente del West pativa). Della vita del West ebbe a dichiarare: "C'erano molti momenti brutti, molti momenti di noia e qualche momento bello. Però non c'era proprio niente di romantico: era una vita dura, sordida e tragica". Su di lui venne girato un biopic nel 1951: "Al Jennings of Oklahoma", r. di Ray Nazarro.
Il padre del cinema statunitense, David Wark Griffith, apportò al genere una maggior cura per l'inquadratura con film quali ad esempio The Massacre (1912). E' la storia di una strage compiuta da un gruppo di indiani a spese dei passeggeri di un treno: un soldato, alla disperata ricerca della moglie e del figlio, alla fine li ritrova vivi sotto una pila di cadaveri.
Thomas Ince, altro padre nobile del cinema USA nel suo periodo muto, produsse western con una maggiore attenzione alla sceneggiatura e all'organizzazione. Fece ricorso ad uno show del "Selvaggio West", quello dei fratelli Miller, che metteva a disposizione tutta l'attrezzatura necessaria (carri coperti, diligenze, ecc.). Nei suoi studi Ince produsse vari western, non sempre diretti da lui, come "Custer's Last Fight "(1912) interpretato da Francis Ford, fratello maggiore di John, dal quale fu presto eclissato, e per il quale si sarebbe poi ridotto a girare parti secondarie.

 "La grande rapina al treno" ("The Great Train Robbery", r. di Edwin Porter, 1903). 

"The Lady of the Dugout" ( r. di W.S. Van Dyke, interpretato e prodotto da Al J. Jennings, 1918).


"The Massacre" (r. di David Wark Griffith, 1912).

 "Custer's Last Fight" (r. di Thomas Ince, 1912).



GLI EROI WESTERN DEL MUTO

Di film con una ambientazione western se ne produssero dunque sin dall'inizio della storia del cinema. Ma non si poteva ancora parlare di "genere", cioé di una nutrita serie ininterrotta di film con caratteristiche comuni. Perché un genere abbia successo occorre che un immaginario venuto a maturazione, incontri i desideri del pubblico di quella determinata fase storica. Il western come genere nacque grazie ad alcuni attori che a volte diressero, scrissero e produssero i propri film. Si trattava di pellicole a bassissimo costo (spesso si presentavano come "serial", cioé film a puntate) e con una struttura semplice e riconoscibile. Al centro era l'eroe, duro, spesso fuorilegge, ma dal cuore tenero. Era ben rasato, vestiti puliti e in ordine, cappello riconoscibile, spesso bianco. Gli avversari erano cattivissimi, mal rasati, coi baffi e spesso dotati di una gran pancia. A volte il cattivo era un banchiere o un politico, che la gente del Sud agricolo vedeva come il fumo negli occhi oppure indiani o anche banditi particolarmente crudeli. Montavano cavalli che riproducevano le caratteristiche dell'eroe: abili, intelligenti e coraggiosi. Questi animali divennero popolari presso le vaste platee quanto gli stessi eroi. I protagonisti di questi film furono: Gilbert Anderson per tutti gli anni Dieci, William Hart tra la fine degli anni Dieci e la metà degli anni Venti e Tom Mix dalla fine degli anni Dieci per tutti gli anni Venti.
Gilbert Anderson (1880-1971) fu un membro del cast de "L'assalto al treno" (dove recitava in tre ruoli). Il suo vero nome era Maxwell Aronson che cambiò perché rivelava la sua origine ebraica. Nel 1907 creò la casa di produzione Essenay e si spostò in California. Tra il 1910 e il 1916 recitò, scrisse e/o diresse circa 180 western da uno o due rulli dando vita al primo eroe western del grande schermo: Broncho Billy, un bandito dall'animo buono.

"Broncho Billy's Last Hold Up" (agosto 1912).

"Broncho Billy's Christmas Dinner" (dicembre 1911).


La fama di Broncho Billy fu superata da quella dell'attore scespiriano William Hart che cominciò a girare film nel 1914, a 44 anni, prima con Ince poi con la Paramount. I suoi film erano realistici nelle ambientazioni e nei costumi, ma le trame erano molto sentimentali e moralistiche. Di solito il climax dei suoi film coincideva con la redenzione dell'eroe che lui stesso interpretava (di solito un fuorilegge), facilitata da una donna o da un prete o da un bambino. Resistette alla richiesta delle case di produzione di modernizzare il suo stile lento e tragico, che era stato superato da quello veloce e leggero di Tom Mix. Così, per realizzare il suo ultimo film, "La lotta per la terra",  fondò una sua casa di produzione rivolgendosi alla United Artists per la distribuzione. Nel film c'era allo stesso tempo realismo e melodramma e l'eroe salvava tutti: un bambino, una vecchia coppia, una vedova, un lupacchiotto, un serpente...

"Knight of the Trail" (1915, anche regista).

"La lotta per la terra" ("Tumbleweeds", r. di King Baggot, 1925).


Tom Mix entrò nel mondo del cinema come magazziniere e poi come attore secondario. Dal 1910 e al 1917 lavorò per la Selig con western da uno o due rulli che spesso, oltre che interpretare, scriveva e dirigeva. Passò poi alla Fox e da quel momento la sua carriera spiccò il volo divenendo una grandissima celebrità per tutto il periodo del muto. Hollywood gli inventò anche una biografia fittizia, dove risultava aver combattuto in numerose guerre, quando in realtà era stato dichiarato disertore. La sua fonte di ispirazione erano gli show del "Selvaggio West" per i quali aveva lavorato: nei suoi film indossava vestiti pittoreschi, i cowboy erano coinvolti in avventure rocambolesche, e non mancavano scene comiche. Il suo cavallo Tony divenne  celebre quanto chi lo cavalcava. Tom Mix inoltre non mancava di galanteria e aveva successo con le donne. I suoi finali erano allegri, mentre quelli di Hart erano pessimisti. Girò circa 300 western nel periodo del muto. 

"Sky High" (r. di Lynn Reynolds, 1922).

"The Law and the Outlaw" (giugno 1913).



I PRIMI WESTERN A GRANDE INVESTIMENTO

Film western era sinonimo a Hollywood di film a basso costo. Non occorrevano grandi scenografie per produrli e ogni studio aveva il suo magazzino di attrezzi (pistole, carri ecc.) che quando era il caso riciclava. Il successo popolare era tale da indurre però le grandi case di produzione all'inizio degli anni Venti a tentare la realizzazione di western di maggiore investimento. Il periodo era propizio: gli USA stavano attraversando una fase di formidabile crescita economica, sorsero nelle città sale cinematografiche fastose per una classe media in espansione che poteva permettersi di spendere, le majors di Hollywood erano più potenti che mai e avevano smesso di farsi concorrenza costituendo un solido monopolio.

Nel 1923 la Paramount produsse il primo film epico di genere western. Raccontava della marcia dei pionieri lungo l'Oregon Trail: "I pionieri", tratto dal romanzo di Emerson Hough. Il film richiese molti investimenti e mesi di riprese. "I pionieri" si sforzava di mantenere la veridicità storica: fu girato nei luoghi dove gli avvenimenti accaddero, tra Nevada e Utah, e ciò in un'epoca in cui tutto si ricostruiva in teatro di posa. Ci fu un vero attraversamento di un fiume, vennero ingaggiati centinaia di nativi, si utilizzarono più di 500 carri, molti dell'epoca. Costò cinque volte il budget di un western tipico, ma fu un grande successo, che incoraggiò la produzione di altri film epici. Nel 1924 uscì infatti "Il cavallo d'acciaio", dove una trama che era tipica dei western (un cowboy era alla ricerca dell'assassino del padre) si diluiva nel racconto della costruzione della ferrovia transcontinentale, vista come grande impresa collettiva. Mentre "I pionieri" era piuttosto statico, "Il cavallo d'acciaio" offriva scene d'azione per l'epoca entusiasmanti. Fu uno dei maggiori successi del cinema muto. Seguirono altri film epici: "Ai confini della civiltà" ("North of 36", r. di Irvin Willat, 1924) e "Pony Express" ("The Pony Express", r. di James Cruze, 1925), caratterizzati anche questi da un forte accento nazionalista. Il pubblico però li abbandonò molto presto. Ford girò solo un altro western in quel periodo: "I tre birbanti" ("Three Bad Men", 1926). I governi conservatori in carica erano espressione di un clima politico, quello degli anni Venti, che virava verso il nazionalismo e le politiche liberiste, e i film epici risentivano di questa ideologia tesa ad esaltare il passato degli Stati Uniti anche a costo di deformare radicalmente la realtà storica. Il pubblico però mostrava di apprezzare di più i veloci film d'azione di eroi dai costumi sgargianti tipici dei serial e dei B-movies. Di western a grande investimento non se ne fecero più molti, dunque, fino alla fine degli anni Trenta, e il western tornò nei piccoli centri, nelle periferie, nelle seconde visioni o ad accompagnare gli A-movies.

"I pionieri" ("The Covered Wagon", r. di James Cruze, 1923).

 "Il cavallo d'acciaio" ("The Iron Horse", r. di John Ford, 1924).



SERIAL E B-MOVIES TRA GLI ANNI '20 E GLI ANNI '40

Il western era il genere più diffuso nei serial e nei B-movies

I serial erano brevi filmati a puntate, spesso legati a soggetti in circolazione sui pulp magazine, a distribuzione solitamente settimanale. Fino alla metà degli anni Dieci, quando ancora non erano diffusi i lungometraggi, le puntate dei serial attraevano molto pubblico. Quando presero piede i lungometraggi e lo spettacolo cinematografico si fece più impegnativo (grandi sale cinematografiche, aumento del costo dei biglietti, dilatazione dei tempi dello spettacolo) i film venivano preceduti da short, brevi filmati  di 15-20 minuti (comiche, oppure, per l'appunto puntate di serial) e newsreel cioé cinegiornali. Vi furono case di produzione (dette Poverty Rows per sottolineare in termini dispregiativi i bassi budget con cui lavoravano), specializzate in serial. La tipica puntata di un serial era interrotta proprio nel momento di massima tensione, quando l'eroe e l'eroina si trovavano in una situazione apparentemente senza via d'uscita, di solito quando una donna correva il pericolo di essere uccisa o rapita. Quel momento si chiamava cliffhanger (cioé appeso alla roccia, perché si riferisce alla tipica scena in cui la donna penzola da un dirupo e l'eroe nella puntata successiva la salva tirandola su con una mano). Molte sale offrivano il sabato mattina, specie per il pubblico dei giovanissimi, proiezioni di soli serial. Il massimo successo dei serial si ebbe negli anni Trenta e proseguì comunque per tutti gli anni Quaranta, diminuendo drasticamente solo negli anni Cinquanta, quando la Tv fece una concorrenza imbattibile producendo grandi quantità di telefilm. 
Dall'inizio degli anni Trenta in poi si diffuse nelle sale cinematografiche un altro tipo di programmazione, chiamata double feature. Oltre al film principale (A-movie) e anche uno o più short, veniva proiettato un B-movie. L'A-movie era il film con alti investimenti e attori famosi e il B-movie era quello a basso costo, senza pretese. I B-movies duravano meno degli A-movies (60 minuti in media contro 80). Erano le Poverty Row (Republic, Grand National, Monogram, tra le altre) che producevano i B-movies. I B-movies vennero realizzati dagli anni Venti fino agli anni Cinquanta. Quasi tutti i western erano considerati dei B-movies. Oggi molti B-movies sono rivalutati, anche tra i western. Ad esempio "Stirpe eroica" ("The Vanishing American", r. di George Seitz, 1925) mostrava una inedita (per i western) comprensione verso i nativi. Un esempio di B-movies di successo furono i 51 film girati dalla Republic sui The Three Mesquiteers tra il 1936 e il 1943 che raccontavano le avventure di tre cowboy, i cui attori variavano di film in film (8 ne interpretò John Wayne) anche con elementi moderni (ad esempio in uno degli ultimi film i tre cowboy affrontano i nazisti). Altro esempio: Hopalong Cassidy (un cowboy che difende i più deboli) interpretato da William Boyd dal 1935 al 1944 con più di 60 film.

Sempre nell'ambito dei B-movies, sull'onda del grande successo del musical, nacque il sottogenere western musical, il western cantato. Il più famoso protagonista di questi film fu Gene Autry, che realizzò il primo film del genere ("Tumbling Tumbleweeds", r. di Joseph Kane, 1935) e un serial di straordinario successo per la Mascot Pictures dove si mescolava il western col musical e la fantascienza: "The Phantom Empire" dal 1935. Solo più tardi Hollywood promosse il western musical dai B-movies agli A-movies, ad esempio con "Sette spose per sette fratelli" ("Seven Brides for Seven Brothers", r. Stanley Donen, 1954).

Anche i B-movies tramonteranno, come i serial, alla metà degli anni Cinquanta, quando l'avvento della televisione impose una diversa organizzazione dell'offerta cinematografica. Le produzioni a basso costo sopravviveranno, ma senza essere associate agli A-movies.

"Texas Kid" ("Three Texas Steers", r. di George Sherman, 1939). 

Gene Autry canta "Tumbling Tumbleweeds" in "Old Monterey" (r. di Joseph Kane, 1939).


Il pubblico degli anni Trenta chiedeva eroi senza macchia e senza paura, in cui attore e personaggio coincidessero, come quelli del periodo muto. Così nuovi eroi si unirono e poi superarono Tom Mix (in rapido declino col sonoro). Questi personaggi nascevano con serial e B-movies poi quando la loro popolarità aumentava venivano messi sotto contratto dalle majors, che li scarivavano appena il loro successo diminuiva, decretando così la loro "ridiscesa" nei B-movies e nei serial. Alcuni di questi attori, spesso formatisi negli show del "Selvaggio West" o nei rodei erano emersi negli anni Venti e il loro successo declinò alla fine degli anni Trenta: Buck Jones, Tim McCoy (che era un ex uffiaciale dell'esercito e agente di una riserva indiana: aveva organizzato lui le comparse indiane del film "I pionieri"), Ken Maynard (e il suo famoso cavallo Tarzan) e Hoot Gibson erano i più famosi.

Buck Jones in "Border Law" (r. di Louis King, 1931).

Tim McCoy in "Roarin' Guns" (r. di Sam Newfield, 1936).



IL RITORNO DEL WESTERN A GRANDE INVESTIMENTO

Alla fine degli anni Trenta si ebbe il grande ritorno del western a forte investimento. Le major hollywoodiane investirono grandi quantità di risorse in un genere che era stato sempre popolare, ma quasi sempre confinato nel mondo delle produzioni di serie B. La ragione si deve alla particolare fase storica che stavano attraversando gli Stati Uniti: era la vigilia della seconda guerra mondiale, gli USA erano ancora neutrali ma era cominciata la corsa al riarmo per prepararsi al peggio. Questo clima favorì un crescente nazionalismo, in parte spontaneo e popolare, in parte veicolato e stimolato dall'alto. Il genere western, genere snobbato dalle majors (con la parentesi di inizio anni Venti), si prestava molto a questo compito di "educazione nazionalista delle masse", dato che era popolarissimo sin dagli anni Dieci grazie a serial e B-movies. Si doveva però operare un grosso cambiamento: gli eroi  senza macchia e senza paura tipici dei western a basso costo, erano quasi sempre decontestualizzati: non si capiva dove agivano e quando, le loro avventure si svolgevano in un ambiente piuttosto astratto, privo di riferimenti storici. Così, il cowboy, il bandito di buon cuore, il valoroso sceriffo, il capitano coraggioso, vennero inseriti in determinati momenti della storia USA, opportunamente glorificati e privati di ogni riferimento critico. 

Per fortificare il senso di appartenenza ad un unico destino nazionale uscirono una serie di film che glorificavano il passato di ogni Stato appartenente alla federazione. Tra gli altri: "Arizona" (r. di Wesley Ruggles, 1940), "Texas" (r. George Marshall, 1941), "Wyoming"(r. di Richard Thorpe, 1940), "In old Oklahoma"(r. di Albert Rogell, 1943), "Dakota"(r. di Joseph Kane, 1945), "California"(r. di John Farrow, 1946), che compongono il quadro della celebrazione dell'espansionismo statunitense.

 "Texas" (r. George Marshall, 1941).

"In old Oklahoma"(r. di Albert Rogell, 1943), poi intitolato "War of the Wildcats".


Si rispolverò il pantheon di tutti gli eroi realmente esistiti del West, con nessuna attenzione però alla veridicità storica, puntando alla esaltazione del personaggio ed al rafforzamento della leggenda che li circondava: da Kit Carson con "La grande cavalcata" ("Kit Carson", r. di George B. Seitz, 1940) a Sam Houston con la "Strage di Alamo" ("Man of Conquest", r. di George Nichols, 1939), dal generale Custer con "La storia del generale Custer" ("They Died With Their Boots On", r. di Raoul Walsh, 1942) a "Buffalo Bill" con Buffalo Bill (r. di William Wellman, 1944). La rievocazione positiva degli eroi non si fermò nemmeno di fronte ai banditi, la cui esistenza fu rivista in chiave apologetica. Tra questi: "Terra selvaggia" ("Billy the Kid", r. di David Miller, 1941), "Belle Star" (r. di Irving Cummings, 1941) su una donna bandito realmente esistita, "Il terrore dell'Ovest" ("The Oklahoma Kid", r. di Lloyd Bacon, 1939), un fuorilegge che sta dalla parte dei deboli e vendica l'assassino del padre.

"La storia del generale Custer" ("They Died With Their Boots On", r. di Raoul Walsh, 1942).

"Buffalo Bill" (r. di William Wellman, 1944).


Altri film rivisitarono in chiave eroica e idealizzata i passaggi che avevano segnato il progresso della conquista del West: "Gli avventurieri" ("Dodge City", r. di Michael Curtiz, 1939) girato in technicolor esalta il passaggio di Dodge City da villaggio di frontiera a capitale del commercio di mucche; "Fred il ribelle" ("Western Union", r. di Fritz Lang, 1941) racconta l'espansione della rete telegrafica nel West; "La via dei giganti" ("Union Pacific", r. di Cecil DeMille, 1939) è dedicato alla costruzione della ferrovia, rievocata in termini epici.

"Gli avventurieri" ("Dodge City", r. di Michael Curtiz, 1939).

"La via dei giganti" ("Union Pacific", r. di Cecil DeMille, 1939).


I film vennero utilizzati per ricomporre alcune delle ferite del passato (la Guerra civile, ad esempio) e consolidare l'unità nazionale dei bianchi: per questo gli indiani rimangono acerrimi e irriducibili nemici (come in "Gli invincibili", "Unconquered", r. di Cecil DeMille, 1947, che glorifica la lotta dei coloni contro i nativi nella metà del XVIII secolo), ma sono realizzati invece film riparatori, ad esempio nei confronti dei mormoni: "La grande missione" ("Brigham Young", r. di Henry Hathaway, 1940) contro i quali nel passato c'erano stati atteggiamenti discriminatori, e altri riconciliatori come in "Carovana d'eroi" ("Virginia City", r. di Michael Curtiz, 1940) ambientato durante la Guerra di Secessione e che celebra la riunificazione tra Nord e Sud. Sparì il genere cappa e spada che metteva in scena le ambientazioni aristocratiche ed europee e non a caso l'attore tipico di questi film, Errol Flynn, fu riciclato come eroe del western.

"Gli invincibili" ("Unconquered", r. di Cecil DeMille, 1947).

"Carovana d'eroi" ("Virginia City", r. di Michael Curtiz, 1940).


Gli anni Trenta era stato un periodo di perdurante depressione. I governi di Roosvelt avevano dato vita ad una politica che favoriva in parte la redistribuzione del reddito a favore dei ceti meno abbienti, attraverso, ad esempio, programmi di lavori pubblici. Questa linea di intervento si ammantava di una visione ideologica che passa con il nome di New Deal, in cui l'uomo della strada era valorizzato e veniva invece indicato come nemico lo speculatore e il banchiere, visti come i maggiori responsabili della crisi scoppiata nel 1929. Non era una visione anticapitalista, perché invece gli industriali e i commercianti erano visti molto favorevolmente. Questa ideologia è chiaramente riscontrabile nei film western del periodo. Ad esempio in "L'uomo del West" ("The Westerner", r. di William Wyler, 1940) dove il protagonista è un cowboy accusato ingiustamente da un giudice che, tra l'altro, vuol espellere dalle loro terre un gruppo di contadini. In "Jess il bandito" ("Jesse James", r. di Henry King, 1939), il primo western a colori, si mostra il famoso bandito come un contadino in rivolta contro i soprusi dei potenti, in "Ombre Rosse" ("Stagecoach", r. di John Ford, 1939) l'unico bianco tratteggiato in maniera negativa è un banchiere che fa discorsi simili a quelli dei repubblicani, avversari di Roosvelt. 

"L'uomo del West" ("The Westerner", r. di William Wyler, 1940) .

"Jess il bandito" ("Jesse James", r. di Henry King, 1939).


Il film più significativo di questo gruppo di film nazionalisti è "Ombre Rosse". Era il primo western di Ford dopo "I tre birbanti" ed è il film che lanciò John Wayne come attore di A-movies, avendo partecipato sino a quel momento quasi esclusivamente a B-movies e serial. La location era indovinata e divenne la prediletta da John Ford: la suggestiva Monument Valley (si deve dire però che girare all'aperto era comune nei western a basso costo). L'inseguimento della diligenza da parte degli indiani fu ripresa da automobili che correvano a 60 Km all'ora, cosa che poteva accadere solo su terreno pianeggiante. E ciò spiega una delle tante incongruenze del film, dato che era il luogo meno verosimile per un assalto indiano. Il film è modesto da vari punti di vista, ma un elemento decisivo concorse a farne un classico del genere western: l'intreccio e i personaggi. Il film narra di un "bandito dal cuore tenero" che cerca la sua vendetta, e questo è il classico pretesto dei western sino ad allora realizzati. Questa linea narrativa viene però accompagnata da varie sottotrame: sulla diligenza che deve attraversare un territorio ostile trovano posto diversi personaggi le cui particolarità caratteriali e sociali disegnano il quadro della variegata società bianca. Alla fine riusciranno, nonostante le differenze, a "fare gruppo" per fronteggiare il nemico comune: gli indiani crudeli e i messicani inaffidabili. Il gruppo costituiva la metafora di una nazione che, secondo Ford, seppur divisa al suo interno per classi sociali e origini territoriali, doveva trovare, di fronte al pericolo esterno, la strada dell'unità. Non a caso il modello della struttura narrativa (un gruppo di persone eterogeneo e litigioso che però alla fine si unisce contro gli avversari) fu poi preso a prestito in alcuni film del genere che nacque sull'onda dell'entrata in guerra degli USA, il film di guerra (ad esempio in "Air Force", r. di Howard Hawks, 1943).

 "Ombre Rosse" ("Stagecoach", r. di John Ford, 1939).

 "Ombre Rosse" ("Stagecoach", r. di John Ford, 1939).


Ford continuò anche dopo la seconda guerra mondiale la serie di western che ne faranno il regista più conosciuto del genere. Del 1946 è "Sfida infernale"("My Darling Clementine") un film che riprende la leggenda di Wyatt Earp, ne ignora la realtà storica, ma rinuncia ad esaltare l'uso della violenza (il duello finale all'Ok Corral, è descritto in modo sommario) per sottolineare invece la positività dell'inserimento del protagonista nella comunità del paese che lo ospita. L'enfasi posta sulla comunità, come metafora dell'unità nazionale (dei bianchi), viene ripresa anche nei tre film dedicati alla cavalleria statunitense: "I cavalieri del Nord Ovest"("She Wore a Yellow Ribbon", 1949), "Il massacro di Fort Apache"("Fort Apache", 1948) e "Rio Bravo"("Rio Grande", del 1950). Protagonista di questi film è la comunità chiusa di un "forte", avanposto militare di frontiera costruito storicamente per contenere o reprimere i nativi. Ford ne sottolinea positivamente la gerarchia (che è funzionale allo scopo solo se, a parere di Ford, è illuminata e paternalista), il valore di ogni soldato (nessuno è mai preda della paura), il ruolo delle donne come sostenitrici dell'ordine maschile, la presenza minacciosa degli indiani (che vanno trattati con fermezza, ma senza esagerare). In questo microcosmo i drammi di tipo personale, sentimentale o personale dei protagonisti (sempre appartenenti alla casta degli ufficiali), si intrecciano ad episodi minori, legati a macchiette che danno vita a numerosi siparietti comici (quasi sempre soldati semplici o sottufficiali un po' sempliciotti, che fanno scherzi e alzano il gomito, ma non si tirano mai indietro nella battaglia). L'esaltazione della Cavalleria, uno degli strumenti di sterminio più temibili utilizzati nella colonizzazione del West, può apparire strana se si considera che all'epoca in cui sono stati girati i film, non esistevano più questi reparti (gli USA smobiliteranno l'ultimo nel 1944); si deve considerare però che furono girati negli anni immediatamente successivi alla seconda guerra mondiale e che gli USA mantennero un atteggiamento aggressivo in campo militare a causa della Guerra Fredda (la guerra di Corea scoppia nel 1950). Questi film vanno dunque inquadrati nella dominante cultura nazionalista che era prevalsa prima della guerra e che, dopo la guerra, sparito Roosvelt e il New Deal, vedeva sostituire il militarismo al populismo. In questi tre film Ford raggiunge il massimo di sofisticatezza nell'utilizzo di alcuni stilemi del linguaggio cinematografico, come l'impiego del Campo lungo e lunghissimo. 

"Sfida infernale"("My Darling Clementine", r. di John Ford, 1946).

"Il massacro di Fort Apache"("Fort Apache", 1948).


Non vi furono molte eccezioni ai western nazionalisti. Tra queste "Alba fatale"("The Ox-Bow Incident", 1943) per la regia di William Wellman. Questo autore aveva già girato western atipici e con uno stile formale attento alla ricerca. Nel 1936 aveva ad esempio diretto il film "Robin Hood dell'Eldorado" ("The Robin Hood of El Dorado") ispirato alla figura semileggendaria del messicano Joaquin Murrieta (1829-1853) che si oppose alla colonizzazione della California. In "Alba fatale", centrato su un linciaggio, la tensione è tutta psicologica, drammatizzata da una illuminazione espressionista, non vi è traccia di eroi completamente positivi e l'azione è ridotta al minimo. In "Cielo giallo" ("Yellow Sky", 1948) il duello finale a tre è addirittura ripreso con camera fissa. Nel 1951 diresse "Donne verso l'ignoto" ("Westward the Women") imperniato sulle vicende di una carovana composta esclusivamente da donne.

 "Alba fatale"("The Ox-Bow Incident", r. di William Wellman, 1943).

"Cielo giallo" ("Yellow Sky", r. di William Wellman, 1948).


Dopo la guerra il clima di repressione sessuale che caratterizzò gli anni Trenta si rilassò. Ciò fu dovuto a vari fattori, tra i quali la fine della lunga depressione economica, il clima di euforia postbellica, l'accresciuto ruolo sociale delle donne causato dal coinvolgimento nella mobilitazione nazionale. Nel western, genere soprattutto maschile, questa dinamica sociale prese la forma di richiami erotici più o meno espliciti, incarnati quasi sempre da figure di donne che rendevano evidente il proprio desiderio sessuale. Il ruolo era considerato però troppo "forte" per essere affidato a personaggi "bianchi": le donne anglosassoni del western dovevano continuare ad essere gran lavoratrici, figlie più o meno innocenti e fidanzate magari maliziose, ma in trepida attesa del matrimonio. Queste figure furono dunque rappresentate da messicane o indiane (anche se le attrici che le interpretavano erano bianchissime), con abbigliamenti che ne mettevano in evidenza il corpo, gli atteggiamenti disinvolti, il temperamento focoso e finalizzato alla conquista dell'uomo. Inutile dire che in questi western fanno quasi sempre una brutta fine. Il film che dà il via a questa tendenza è il mediocrissimo "Il mio corpo ti scalderà" ("The Outlaw", r. di Howard Hughes), una sgangherata rievocazione del mito di Billy The Kid, terminato nel 1941. Non poté uscire se non nel 1946, a causa di scene considerate troppo esplicite e del gran impegno che Hughes impiegò nell'esaltare il seno di Jane Russell, che da allora divenne una icona sexy. Anche "Duello al sole" ("Duel in the Sun", r. di King Vidor, 1946) mette in scena il conflitto suscitato dalla carnalità della protagonista, una meticcia interpretata da Jennifer Jones. Ford in "Sfida Infernale" rappresenta un personaggio simile (l'amante di Doc Hollyday, dal nome Chihuahua). Un altro film della stessa tipologia è "Gli amanti della città sepolta" ("Colorado Territory", r. di Raoul Walsh, 1949). E persino il capolavoro  "Mezzogiorno di fuoco" ("High Noon", r. di Fred Zinnemann, 1952) non sfugge allo stereotipo, anche se la latina rappresentata ha tratti di originalità (è fiera e indipendente).

"Il mio corpo ti scalderà" ("The Outlaw", r. di Howard Hughes).

"Duello al sole" ("Duel in the Sun", r. di King Vidor, 1946) .


Nel dopoguerra fece il suo ingresso nella cinemtografia commerciale statunitense la psicologia, in una versione estremamente semplificata della psicoanalisi freudiana, condita di rievocazioni prese sbrigativamente a prestito dalla tragedia greca e scespiriana. Apparvero anche nel western una serie di film che mettevano in scena conflitti basati sul senso di colpa, su complessi edipici irrisolti, rapporti familiari padre/figlio malati, e psicologie contorte e negative, segnate da un passato duro che non precludeva loro una finale redenzione. Gli eroi a tutto tondo diminuiscono ed aumentano quelli complessi e contraddittori. Questa tendenza coinvolse in realtà tutti i generi ed erano specchio della rapida eclissi delle speranze del dopoguerra, con l'inizio della Guerra fredda e una generazione di giovani scontenta e insoddisfatta. 

Il primo western di questo genere è probabilmente "Notte senza fine" ("Pursued", r. di Raoul Walsh, 1947), dove le azioni del protagonista sono dettate dai traumi dell'infanzia. Ne "Il fiume rosso" ("Red River", r. di Howard Hawks, 1948) il personaggio interpretato da John Wayne è spietato e vendicativo. Persino Ford non può farne a meno con un film quale "Sentieri selvaggi" ("The Searchers", 1956) dove l'agire del protagonista è dettato dall'odio irragionevole, ma che si suppone frutto di passati traumi, verso gli indiani. A questo filone si rifanno anche i western girati da Anthony Mann e interpretati da James Stewart, quali "Winchester '73" (id., 1950) e "L'uomo di Laramie" ("The Man from Laramie", 1956).

"Sentieri selvaggi" ("The Searchers", r. di John Ford, 1956).

"L'uomo di Laramie" ("The Man from Laramie", r. di Anthony Mann, 1956).


Nel dopoguerra le donne acquisiscono un ruolo maggiore nei western. Come accadde anche nel corso della Prima guerra mondiale, durante la Seconda gli Stati furono costretti a coinvolgere le donne nello sforzo bellico: dovevano sostituire gli uomini nei posti di lavoro che grazie all'espansione dell'industria bellica si erano moltiplicati, ad esempio. Questo favorì un certo innalzamento dello status delle donne nella società. Uscirono così vari western che proponevano figure femminili forti che utilizzavano il loro potere o il carisma o le proprie capacità, ma non mezzi seduttivi, per raggiungere i propri scopi. Ad esempio in "Johnny Guitar" (id., r. di Nicholas Ray, 1954) dove Joan Crawford interpreta una donna che da sola riesce a tener testa a decine di uomini e che alla fine affronta un'altra donna in un inedito duello tutto al femminile. Altri film con donne protagoniste: "Le furie" ("The Furies", r. di Anthony Mann, 1950), "Rancho Notorius"(id., r. di Fritz Lang, 1952) con Marlene Dietrich, "Quaranta pistole" (Forty Guns, r. di Samuel Fuller, 1957).

"Johnny Guitar" (id., r. di Nicholas Ray, 1954).

"Rancho Notorius" (id., r. di Fritz Lang, 1952).


Nel western classico di stampo fordiano c'era la comunità come protagonista: il paese, la carovana, il ranch, con l'eroe al servizio del gruppo e le cui gesta non erano troppo enfatizzate. La comunità era una metafora dell'unità nazionale (dei bianchi) e per questo il cinema di Ford collimò con il sentimento predominante negli anni tra i '30 e i '40. Quel sentimento però era destinato al tramonto negli anni '50. Mentre il governo degli USA era impegnato nella Guerra fredda, la società andava in un'altra direzione, voleva altro. E questo sentimento si riflette anche nel western: dagli anni '50 appare la figura dell'eroe solitario, emblema di un mondo in via di sparizione. Eroi crepuscolari che sono coscienti di far parte di un'epoca che va sparendo, aiutano la comunità a cavarsela, ma loro vi si autoescludono. Anche in "Sentieri Selvaggi" il personaggio alla fine se ne va, consapevole che lui coi suoi limiti non potrà più far parte di quella comunità in costruzione. Il personaggio tipico è "Il cavaliere della valle solitaria"("Shane", r. di George Stevens, 1953) il cui successo ne fece una sorta di prototipo. A segnare la fine del classico eroe del western è lo stesso John Ford con quello che probabilmente è il suo miglior film: "L'uomo che uccise Liberty Valance"("The Man Who Shot Liberty Valance", 1961). In esso l'ambiente classico del western è rievocato da un lungo flashback narrativo, che mette a confronto l'uomo dell'Est, istruito, che non usa le pistole, intepretato da James Stewart, con il classico rude cowboy interpretato da John Wayne. Sarà il secondo a salvare il primo, uccidendo un pericoloso bandito. E non a caso sarà il primo a conquistare la donna del secondo. I giornalisti che ricevono questa confessione decidono di non pubblicarla, per salvaguardare la leggenda del West, come cemento dell'unità nazionale. 

"Il cavaliere della valle solitaria"("Shane", r. di George Stevens, 1953).

"L'uomo che uccise Liberty Valance"("The Man Who Shot Liberty Valance", r. di John Ford, 1961).


In ogni caso anche nella contrapposizione eroe/comunità, la comunità viene sempre vista positivamente anche nel western degli anni Cinquanta. Vi è però una notevolissima eccezione: "Mezzogiorno di fuoco"("High Noon", r. di Fred Zinnemann, 1952), il capolavoro del genere western. Il film fa coincidere tempo cinematografico e tempo reale. Narra di uno sceriffo che sta per lasciare il paese perché si sposa con una quacchera, ma che è costretto a ritornare indietro perché un pericoloso bandito che lui aveva fatto imprigionare è stato rilasciato. Il film è scandito da una tensione tutta psicologica dove il protagonista è impegnato a chiedere aiuto, ma uno ad uno tutti gli abitanti si defilano. Alla fine rimane solo ad affrontare la banda avversaria. Con una regia e una qualità delle inquadrature abbastanza inusuali nel genere, Zinnemann si sofferma sulla solitiudine dell'eroe sottilineandone la fatica, il sudore, la paura. Anche il classico personaggio della donna messicana è sì disegnata come sessualmente disinibita, ma è forte, orgogliosa, e sta sempre dalla parte giusta. L'eroe alla fine ce la farà grazie all'aiuto della moglie e se ne andrà dal paese gettando nella polvere la stella di sceriffo. Il film fu un enorme successo di pubblico, segno che questo chiedeva qualcosa di profondamente diverso, ma in piena caccia alla streghe fu accusato di essere antiamericano. In effetti il film è leggibile come una metafora della solitdine in cui furono lasciati gli intellettuali progressisti dalla isteria anticomunista innescata dalla guerra fredda. Il film indignò talmente la parte più reazionaria del cinema che spinse John Wayne a caldeggiare una risposta cinematografica. "Un dollaro d'onore" ("Rio Bravo", 1959) diretto da Howard Hawks, con John Wayne, Dean Martin ed Angie Dickinson) riprendeva una trama simile a "Mezzogiorno di fuoco" ma dove le persone del villaggio aiutano lo sceriffo, che ovviamente è senza paura. Per accattivarsi le simpatie del popolo si largheggiò in scorci sexy del personaggio femminile e si inserì un personaggio giovanile genere teddy boy. Un film mediocre, che ebbe comunque un certo successo.

"Mezzogiorno di fuoco" ("High Noon", r. di Fred Zinnemann, 1952).

"Un dollaro d'onore" ("Rio Bravo", r. di Howard Hawks, 1959).