L'ESPRESSIONISMO

di Valeria Spera


L’espressionismo tedesco nasce e si sviluppa nella difficile condizione socio – economica conseguente alle sanzioni imposte alla Germania alla fine della prima guerra mondiale. Il Paese si trova ad affrontare una forte inflazione (in quel periodo un dollaro valeva 6 milioni di marchi).

In questo momento di crisi si decide però di potenziare le risorse destinate all’industria cinematografica. Lo Stato si fa promotore del rilancio del cinema, proteggendolo, anche perché lo considera un potenziale mezzo di sviluppo e propaganda.

La Deutsche Bank fornisce mezzi e materiali e viene istituito un organismo statale unico, l’U.F.A, che vigila sulla produzione e il mercato cinematografico.

In questi anni diventa importante la figura del Produttore, che organizza e coordina i progetti e gestisce e risorse. Uno dei produttori che hanno contribuito allo sviluppo del cinema espressionista è Erich Pommer, impegnato a puntare su un alta qualità dei lavori, per mantenere la competitività internazionale.

L’espressionismo diventa la cifra stilistica del cinema tedesco fino alla fine degli anni venti. In Germania si sviluppa un clima culturale molto attivo e vivace, gli artisti manifestano una volontà di rinnovamento e si dedicano a nuove forme di espressione. Il movimento artistico nasce a Monaco intorno al 1910, come critica al ruolo passivo dell’artista.

E’ una risposta in antitesi all’impressionismo.

Mentre infatti l’impressionismo mira ad osservare il reale per poi riprodurne l’impressione, l’espressionismo agisce sulla realtà osservata deformandola, divorandola e rielaborandola attraverso uno sguardo interno.

La realtà viene creata dallo sguardo dell’artista, non recepita.

Non a caso, lo sguardo che caratterizza il cinema (e l’arte) impressionista è stato definito OCCHIO – ORECCHIO, che si pone in ascolto del reale, mentre il cinema espressionista viene definito OCCHIO – BOCCA, che prende dal mondo le energie vitali e lo restituisce in modo personale e slegato dalla realtà così come si mostra al primo sguardo.

I temi

I film espressionisti sono dominati dal tema della possessione, dello sdoppiamento della personalità e della volontà e dal tema della malattia (fisica o mentale), del disagio e del malessere.

I personaggi si trovano a confrontarsi e lottare con l’altro da sé, sono spinti o costretti a sdoppiare la propria identità.

Una delle figure ricorrenti è quella del personaggio debole che viene manipolato da una presenza deviante, che si impossessa della sua volontà.

I personaggi si muovono in un mondo disarmonico, che perde poco a poco la linfa vitale.

Il mondo ritratto dallo sguardo espressionista è segnato dal caos, la stranezza, l’anomalia di corpi e forme.

I film espressionisti legano la realtà rappresenta al sogno o all’incubo, raccontano un universo interiore.

Si mette in scena, scavando oltre la percezione dello sguardo, lo strato più profondo del reale, quello nascosto, fatto di incubi, ossessioni, visioni occulte.

Lo stile

Dal punto di vista stilistico, l’espressionismo segna un momento di forte rottura rispetto ai canoni realistici.

La deformazione predomina su tutti i livelli: dalla scenografia alla recitazione, alla costruzione dell’immaginario.

Le luci sono usate in modo non naturalistico, creando toni cupi e minacciosi. Spesso alcune parti della scena rimangono in ombra, quasi a nascondere alla vista una parte del mondo rappresentato, creando un’atmosfera di mistero e inquietudine.

Nel cinema horror, il non visto è estremamente importante, la chiave del meccanismo della paura. Il brivido è dato da tutto ciò che è allusione, sottrazione, tutto ciò che fa intuire, che si può immaginare al di là del fotogramma.

L’immaginario visivo del cinema espressionista è caratterizzato da linee spezzate e ombre disegnate.

Spesso gli ambienti sono ricostruiti in studio e le scenografie, di derivazione teatrale, sono disegnate sottolineando i tratti forti e sghembe.

I personaggi spesso diventano sagome stilizzate e le ombre vivono di vita propria, fino a diventare quasi personaggi autonomi. L’ombra rappresenta la parte nascosta, misteriosa.

Uno degli stilemi ricorrenti nel cinema espressionista (che continua nel cinema horror) è rappresentato per esempio dall’entrata del personaggio “malefico”: il più delle volte i personaggi minacciosi entrano in scena preceduti dalla propria ombra (si pensi alla figura del vampiro, che verrà approfondita in seguito).    

I film

I film espressionisti più importanti sono:

- 1913 Lo studente di Praga, di Stellan Rye

- 1919 Il Gabinetto del Dottor Caligari, di Robert Wiene

- 1922 Dottor Mabuse, di Fritz Lang

- 1922 Nosferatu, di Wilhelm Murnau

- 1926 Metropolis, di Fritz Lang

- 1928 Faust, di W. Murnau 

Lo studente di Praga, di S. Rye, 1913. Questo film è considerato il precursore, il predecessore dell’espressionismo. Anticipa i temi dello sdoppiamento e della perdita dell’ombra, ma non ha ancora lo stile tipico del cinema espressionista, che si svilupperà negli anni successivi. Si racconta di uno studente deluso che fa un patto con uno strano individuo, vendendogli l’anima. Questa presenza diabolica ottiene dal riflesso del ragazzo un suo doppio, a cui fa compiere delle azioni che lo studente non farebbe mai. Alla fine del film il ragazzo spara al suo riflesso, ma muore lui. 



IL GABINETTO DEL DOTTOR CALIGARIDi Robert Wiene, 1919

Nella cittadina tedesca di Hostenwall, intorno al 1830 il Dottor Caligari esibisce in un baraccone da fiera il sonnambulo Cesare, che inconsapevolmente è esecutore dei suoi delitti sotto effetto di ipnosi.

Si dice che il sonnambulo, una volta svegliato, predica il futuro... Contemporaneamente al suo arrivo cominciano ad avere luogo nel paese delle morti sospette.

Il primo a chiedere una predizione è l'amico di Franz, Alan, che con Franz condivide l'amore per Jane. Cesare predice ad Alan che morirà entro il mattino seguente e la predizione si avvera.

Altre morti inquietanti seguono a questa e Franz, nel tentativo di smascherare il colpevole, scopre che il dott. Caligari controlla il sonnambulo ordinandogli di compiere quei cruenti omicidi.

Smascherato e inseguito dalle forze dell'ordine, il dott. Caligari si rifugia all’interno di un manicomio di cui in seguito si scoprirà esserne il direttore, che in preda all'insaziabile desiderio di ricerca nel campo del sonnambulismo, aveva schiavizzato un paziente affetto dal disturbo per esibirlo nei già citati spettacoli di paese.

Mentre il racconto di Franz termina con la detenzione forzata di Caligari nel suo stesso manicomio, lo spettatore è ricondotto fuori dal lungo flashback, in tempo per scoprire che tutti i personaggi del racconto di Franz sono in realtà i suoi stessi compagni. Franz, infatti, è rinchiuso in un manicomio e tutto il racconto è frutto di allucinazione, in cui il dott. Caligari viene rappresentato con le sembianze del dott. Oscar, il responsabile dell'istituto correttivo.

Il film, considerato  l’opera espressionista per eccellenza, racchiude alcuni dei temi fondamentali del cinema espressionista: l’ipnosi, il mistero, il delitto, la follia, la paura. Si tratta di una delle prime pellicole che presenta la teoria che il terrore psicologico può essere spaventoso quanto quello fisico.

Il finale lascia allo spettare diverse interpretazioni possibili. Cos’è il racconto? Un’allucinazione, un elemento di follia, il delirio di uno dei pazienti del manicomio, un racconto reale?

Il film corre sul filo dell’ambiguità e dà vita ad una realtà alterata. Propone diversi livelli di lettura. 

Si mette in scena una proiezione dell’io interiore dei personaggi, o di una realtà allucinata che crea dei mostri.

Il mondo del Dottor Caligari è a due dimensioni. Le scenografie sono dipinte, i paesaggi e le case hanno dei tratti umanoidi, prevalgono le linee spezzate, gli angoli acuti, le inquadrature oblique.

La recitazione è enfatica, i gesti e il trucco esasperati.

Gli oggetti diventano elementi autonomi, fattori attivi. A questo proposito  il dettaglio e il primo piano esaltano la dimensione gigantesca di oggetti e espressioni. 

Mentre l’umano perde vita, l’oggetto prende vita. 

Il regista Robert Wiene accosta avanguardia artistica e cultura popolare (la superstizione, la percezione di entità malefiche….).

L’ aspetto abituale delle cose viene scavato per  mostrarne il senso segreto.

La macchina da presa è ancora fissa rispetto alla scena, si muove poco. 



NOSFERATU Di  Friedrich Wilhelm Murnau, 1922

Liberamente ispirato a Dracula, il romanzo di Bram Stoker, il film racconta la storia del giovane Thomas Hutter, che lascia la cittadina natale per recarsi nei Carpazi, ospite del conte Orlok che lo ha contattato per l’acquisto di una proprietà. 

Il conte è in realtà un vampiro che, fatto prigioniero il giovane, si imbarca su una nave nascosto in una cassa. Giunto a Brema, Orlok inizia a collezionare vittime diffondendo il suo morbo mortale che tutti erroneamente pensano sia peste. Sarà la fidanzata di Hutter, Ellen a intuire la terribile verità e a sacrificarsi per il bene di tutti riuscendo a trattenere il mostro, invaghitosi di lei, al suo fianco fino al sorgere del sole.

Nosferatu è il capostipite di tutti i vampiri cinematografici e  incarna la creatura dell’estetica espressionista. 

Nella storia del cinema il vampiro ha poi assunto anche una connotazione affasciante e una forte sensualità (soprattutto nella versione di Francis Ford Coppola).  Nosferaatu è invece una creatura a metà tra l’uomo e il mostro: ha le dita lunghe e appuntite, gli occhi enormi, i denti aguzzi, le movenze a scatti, quasi fosse un automa.

Il mondo vampiresco è strettamente legato al tema dell’ombra.  L’ombra, il lato oscuro del personaggio, precede il suo arrivo e acquista autonomia. Il male è sempre annunciato, non è mai visto e presentato direttamente.

Murnau decide di utilizzare spazi reali, non ricorre a scenografie dipinte, ma punta l’intero film sulla figura del vampiro, essere che vive al confine tra due dimensioni: si nasconde nel giorno e vive nella tenebra, è un ibrido tra il mondo degli uomini e quello delle creature del mistero, si nutre del sangue umano per mantenersi in vita. 

Originale e significativo il modo in cui viene messo in scena il superamento della soglia tra mondo reale e mondo altro attraverso un espediente tecnico: 

- la carrozza su cui viaggia Thomas Hutter  procede 

- didascalia: “e dopo il ponte tutti i fantasmi gli vennero incontro”

- immagine della carrozza in negativo (valenza fantasmatica) 

La figura della donna si pone come tramite tra il mondo “normale” e l’altrove. Avverte, sotto forma di premonizioni (sguardo interno), ciò che accade nella dimensione vampiresca,  Tutte queste sensazioni la sorprendono di notte (non a caso al buio).



Percorso didattico 1. la soglia tra reale e altroveLo sguardo rovesciato:  LA SPOSA CADAVERE

Victor sposerà Victoria alla cieca, lui figlio di borghesi arricchiti, lei di nobili decaduti. Alle prove per il matrimonio Victor palesa tutta la sua goffaggine ma Victoria si innamora lo stesso di lui, ricambiata. 

Il giovane si rifugia nel bosco per esercitarsi con la formula di matrimonio, e preso dall'enfasi infila l'anello in un ramo che spunta dal terreno. Il ramo è in realtà il dito di Emily, la sposa cadavere, che reclama ora Victor come suo legittimo marito. A Victoria, intanto, i genitori hanno già trovato un nuovo sposo, il misterioso Lord Barkis, che si scopre essere l’uomo che ha dato la morte alla sposa cadavere.

Come tutte le favole, il film si conclude con un lieto fine che raccoglie nello stesso luogo il mondo dei vivi dei protagonisti e il mondo dei Morti, che, in occasione del matrimonio tra i protagonisti, abbandonano temporaneamente la dimensione sotterranea per portare un tocco di colore nel mondo dei vivi, inizialmente triste e griglio.

Il film è stato realizzato utilizzando una tecnica mista tra 2D, 3D e passo uno (i pupazzi di plastilina).

L’immaginario del film  prende spunto in modo evidente dallo stile espressionista, sia nell’ambito cinematografico che rispetto all’arte figurativa. L’inizio del film presenta un personaggio (che spazza il marciapiede) evidentemente ispirato a Nosferatu. 

I personaggi sono molto sottili, quasi dell silhouettes, i volti sono sovrastati da occhi grandissimi e cerchiati, così come succedeva ai volti degli attori dei film che abbiamo analizzato.

Anche in questo caso la storia è costruita sulla soglia tra due mondi: il reale e l’altrove, il mondo dei morti.

Il film d’animazione però opera un rovesciamento di stili e significati: l’ambiente della sposa cadavere si rivela molto più vivace rispetto al severo mondo vittoriano in cui vive Victor.

Quello che per convenzione è il mondo della paura e dell tenebra diventa un universo allegro e colorato, fatto di musica e feste.

Il mondo reale, grigio e cupo, rappresenta invece la dimensione delle costrizioni sociali, della pesantezza delle regole, del limite rispetto alla vera espressione dei sentimenti.

Gli abitanti del mondo dei morti sono divertenti, gioviali e autoironici 

( "E' bello da mozzare il fiato…Se solo lo avessi!".).

Il mondo della quotidianeità è dominato dal grigio, quasi bianco e nero quando invece il personaggio supera la soglia dell’altrove, si passa all’uso del colore.

La dimensione dell’aldilà  è raccontata con allegria e divertimento. 

A livello stilistico, invece, la costruzione dei personaggi, l’uso dei colori e la commistione tra realtà e ombra sono coerenti allo stile espressionista e ne ricalcano le caratteristiche (volti verdi o gialli, occhi cerchiati, colori forti...).

Viene ripreso più volte anche il motivo dell’ombra come personaggio autonomo.

Ci sono numerose tracce espressioniste in La sposa cadavere.

 L’arrivo davanti alla casa della sposa, visto dagli occhi del protagonista, ricorda il fotogramma di un vecchio film in bianco e nero.

Così come accade nel film Nosferatu di Murnau, il passaggio di un ponte rappresenta la soglia di passaggio dal mondo reale al mondo fantastico, l’altrove del mistero. Al di là del ponte inizia il mondo dei fantasmi.


Rimandi a “Il Gabinetto del Dottor Caligari” nell’attraverso del bosco. 

La scena è costruita su orti contrasti di luci ed ombre e linee sghembe.

 L’arte espressionista è una delle fonti di riferimento principali nella costruzione di alcuni dei personaggi del film, per quanto riguarda l’abbigliamento, ma soprattutto per il disegno dei volti (si pensi all’Urlo di Munch).


Percorso didattico 2. la città del futuro. METROPOLIS di  Fritz  Lang, 1926 

La storia di Metropolis è ambientata a distanza di un secolo dalla realizzazione della pellicola, e cioè nell'anno 2026. Siamo dunque in questa megalopoli del futuro, che si divide in due differenti livelli: una città di grattacieli e strade sopraelevate, che si slancia dalla superficie della terra verso il cielo, e una città costruita al di sotto della superficie terrestre, che produce con le sue macchine l'energia sufficiente al funzionamento di Metropolis. 
Nella prima città vivono gli appartenenti alle classi alte  e la famiglia del dittatore Frederse . Nella seconda, una popolazione di schiavi operai addetti al funzionamento della città, che si presenta come un enorme meccanismo. Al mattino presto, prima ancora dell'alba, che gli schiavi operai non potranno nemmeno vedere, dopo dieci estenuanti ore di lavoro, si effettua il cambio di turno alle macchine, che svolgono la loro attività a ciclo continuo.
Mentre gli operai lavorano per fornire energia alla città, i membri delle classi alte assistono allo stadio alla gara di atletica di alcuni giovani, tra cui c'è anche Freder, il figlio di Fredersen, il dittatore e magnate che governa Metropolis. Durante un momento di gioco con amici, Freder si accorge della presenza di Maria, una ragazza della città operaia, che rappresenta una sorta di guida spirituale dei lavoratori schiavizzati.
 La donna cerca di far riflettere Freder sull’ugualianza tra gli uomini e sulle ingiustizie che vengono compiute nei confroni degli operai.  Freder  insegue Maria nella città sotterranea e
 vede per la prima volta le macchine e la sofferenza dei lavoratori. Osserva un vecchio operaio che, incapace di reggere il ritmo della macchina su cui lavora, collassa provocando un'esplosione. Freder osserva attraverso il fumo un'enorme macchina, ma ancora vittima delle allucinazioni scambia l'ammasso meccanico per una statua che rappresenta il Moloch, l'antico dio degli inferi adorato dalle popolazioni fenicie. Così, nella sua visione, i  lavoratori di Metropolis si trasformano in sterminate colonne di operai che si avviano verso la bocca di fuoco della statua. E la scena diventa quasi un presentimento dei campi di sterminio nazisti. Sconvolto da tutto ciò che ha potuto vedere nella città sotterranea, Freder scappa alla torre di controllo del pade, irrompe nel suo ufficio e gli descrive tutti gli orrori a cui ha potuto assistere. Freder dice a suo padre che le macchine rappresentano le divinità di Metropolis, ma che nello stesso tempo sono la causa della schiavitù della gente. Ma il padre sembra non ascoltare la descrizione del figlio. Nel frattempo lo scienziato Rotwang, inventore delle machine di Metropolis, per vendicarsi del dominatore della città,  si dedica nel proprio studio alla costruzione di un robot dalle fattezze umane, che guidi la rivolta degli operai. Attraverso un dispositivo basato su onde elettromagnetiche copia l'esteriorità di Maria e la trasferisce al robot; la Maria-robot viene "testata" in un bordello della zona dei divertimenti di Metropolis, esibendosi in uno spogliarello. Il robot giuda la rivolta degli operai, che abbandonano le machine e irrompono nella città. La vera Maria fa in modo che Freder faccia da mediatore tra il dittatore e gli operai, e il film si conclude con una sorta di intesa pacifica tra le parti in lotta.


Nonostante la scelta del finale molto criticato perché giudicato buonista (anche se il messaggio visivo lascia allo spettatore un ritratto tutt’altro che tranquillizzante), Metropolis resta considerato uno dei capolavori del cinema espressionista, soprattutto per la costruzione di un immaginario metropolitano che è diventato nella storia del cinema un modello per molti film successivi (fantascienza e noir in particolare) e sul mondo del fumetto (Flash Gordon, per esempio) nella costruzione della città moderna.

E’ stata un’opera molto impegnativa a livello produttivo, un vero e proprio kolossal urbano costato 7 milioni di marchi. Sei mesi di lavorazione, 25000 uomini, 11000  donne, 250 bambini , 50 automobili.

Ispirata ai grattacieli di New York, Metropolis è la città del vapore, della macchine, dei grandi orologi, delle masse e del lavoro. 

Alcuni dei paesaggi urbani sono stati realizzati attraverso la costruzione e la ripresa di modellini in scala di una città del futuro all’interno della quale si muovono mezzi volanti che passano attraverso altissimi grattacieli.

La città è costruita sull’idea del conflitto, dell’opposizione e della divisione netta degli spazi:

uomo – macchina

città alta/ giardini del dittatore  –  sottosuolo/città delle macchine

vita di agio e divertimento – operai costretti al lavoro a testa bassa

libertà - omologazione

dominante -  dominato

luce – ombra

donna umana - robot

Mentre la città dei giardini pensili si rifà allo stile art deco’, liberty, la città delle macchine ha tutte le caratteristiche dell’espressionismo: scenografie disegnate, luci di taglio.

La macchina rappresenta l’elemento principale, sia a livello visivo che tematico: il ferro domina e schiaccia l’uomo: gli operai sono a servizio dei grandi ingranaggi e le fattezze umane vengono usate per vestire un robot. 

Il tema del disagio in questo caso non è legato a cause misteriose, ma al tema del denaro, che fa perdere di vista il valore della persona ed è causa di disuguaglianza e ingiustizia sociale. Il MOSTRO è rappresentato in questo caso da GRANDI MACCHINE  dall’aspetto quasi umano.

Metropolis ha influenzato molti film. Tra questi: Blade Runner.


BLADE RUNNER Regia di Ridley Scott, 1982

Tratto dal romanzo di Philip K. Dick, "Do Androids Dream of Electric Sheep?

(Cacciatore di Androidi) 

In una Los Angeles piovosa e sovrappopolata, il poliziotto Deckard (Harrison Ford), dell' unità Blade Runner, viene richiamato in servizio. La sua specialità è l' individuazione e l’ eliminazione di "replicanti",  i Nexus 6,  organismi viventi uguali in tutto agli essere umani, ma con una forza superiore e privi di sentimenti. I Replicanti venivano usati nelle colonie spaziali e nelle esplorazioni pericolose. 

Quattro di loro, Roy Batty, Leon, Zora e Pris, riescono a raggiungere la terra cercano di introdursi nella fabbrica dove sono stati prodotti, la Tyrell Corporation, nella speranza di riuscire a modificare la loro imminente "data di termine". Infatti gli ingegneri della Tyrell stimarono la possibilità che i Nexus 6 potessero nel tempo sviluppare emozioni proprie, ovvero assumere coscienza di sè, e così li dotarono di un dispositivo autolimitante, ovvero 4 anni di vita. 

Proprio sulla registrazione delle reazioni emotive si basa il test Voigt - Kampff, con cui Deckard indentifica in Rachel (Sean Young), collaboratrice dell' industriale, una replicante sperimentale, inconsapevole della propria vera natura. Deckard si pone sulle tracce di replicanti da "ritirare", eliminando per prima la spogliarellista Zora (Joanna Cassidy). È però Rachel a salvarlo da Leon, mentre Pres (Daryl Hannah) si installa a casa di un ricercatore per convincerlo a portare lei e Batty (Rutger Hauer) dall'industriale. L'incontro non ha esito felice: i due replicanti apprendono che non c'è modo di prolungare la loro esistenza. Deckard li raggiunge nel loro nascondiglio e, "ritirata" Pris, affronta Batty in un duello spietato. 

Salvato in extremis dal suo stesso avversario un attimo prima che questi muoia, Deckard recupera Rachel e fugge con lei lontano dalla città. 


Metropolis è il riferimento principale per la costruzione città del futuro messa in scena in Blade Runner.

Anche in questo caso si tratta di una città ultramoderna, dove piove sempre, cupa e allo stesso modo attraversata da mezzi volanti e sovrastata da grandi schermi pubblicitari.

La torre di controllo a forma ottagonale è evidentemente una citazione dal film tedesco.

Come per la città espressionista, i centri di controllo sono collocati in alto, mentre a terra vive una città multirazziale (si pensi al take away giapponese, per esempio) e trafficata.

Anche in questo convive la dimensione umana e quella dell’uomo macchina. L’uomo robot di Fritz Lang diventa il replicante in Blade runner.

Anche nel caso del film di Ridley Scott, la conclusione prevede un finale conciliante e positivo. L’ero viene salvato dal suo stesso nemico, che si spegne arrendendosi al la sua limitatezza.

Il mondo del futuro è però descritto attraverso una visione pessimista: nella città moderna domina la violenza e gli uomini rischiano di essere sopraffatti dale macchine che loro stessi hanno creato. 

Le torri dei due film messe a confronto. E’ evidente la somiglianza.


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L'espressionismo cinematografico
di Valeria Spera
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Le origini dell'espressionismo pittorico
di Lucio Merrone
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L'espressionismo pittorico tedesco
di Lucio Merrone
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