Agli studenti dell'ITSOS A.Steiner è piaciuta poco la recensione scritta dal loro insegnante per cinescuola.it, ritenendola come minimo poco equilibrata. Hanno così scritto le proprie controrecensioni.
In "The Hateful Eight" ci troviamo nel Wyoming poco tempo dopo la fine della guerra civile americana. John Ruth sta scortando la criminale Daisy Domergue a bordo di una diligenza verso la cittadina di Red Rock, dove la donna sarà impiccata e John ricompensato per il proprio servizio con la taglia su di lei. La diligenza prima di arrivare a destinazione viene fermata dal Maggiore Marquis Warren, un’ex soldato dell’Unione divenuto cacciatore di taglie e poi da Chris Mannix, che dice di essere il nuovo sceriffo di Red Rock. I due ottengono un passaggio sulla diligenza, che a causa del peggioramento delle condizioni climatiche dovrà fare una sosta presso un emporio della zona. All’interno della locanda vi sono quattro uomini, Bob che sta gestendo il locale in assenza della proprietaria Minnie, il silenzioso Joe Gage, intento alla scrittura del proprio diario, il boia Oswaldo Mobray, incaricato di eseguire la condanna a morte di Daisy e l’ex generale dei confederati Sanford Smithers. Fra colpi di scena, inganni e pesanti rivelazioni, gli otto saranno costretti a convivere e a collaborare per arrivare sani e salvi a Red Rock. Ma presto i dissapori fra di loro verranno a galla e faranno degenerare la situazione.
Dopo il successo di “Django Unchained”, arriva il nuovo film di Quentin Tarantino, tornato in grande stile con "The Hateful Eight", che come il precedente film appartiene al genere più amato dal regista, ovvero il western. Il titolo ci rimanda subito agli otto personaggi protagonisti della pellicola, ma anche all'ottavo film da regista dello stesso Tarantino, a mio giudizio uno dei più travagliati della sua carriera (per via della diffusione in rete della sceneggiatura). La prima metà della pellicola è in pratica una pièce teatrale, ricca di dialoghi, apparentemente inutili eppur fondamentali per presentare i personaggi e ad aumentare la tensione, invece nella seconda parte vediamo un susseguirsi di scene di azione. Conoscendo Tarantino, sappiamo però che questo clima di attesa e suspense non è destinato a durare. Quando l’equilibrio si spezza troviamo un diluvio di scontri a fuoco, giochi di sguardi e litri di sangue che passano sullo schermo, arrivando davvero a pochi millimetri dallo splatter.
Come in tutte le opere di Tarantino, sono fondamentali le prove degli attori. Samuel L. Jackson centra quella che è probabilmente la sua più grande performance dai tempi di Pulp Fiction, esaltandosi nel recitare due monologhi di forte intensità, lasciando lo spettatore esterrefatto. Non è da meno Jennifer Jason Leigh, strepitosa nel rendere il suo personaggio folle e feroce, il cui sguardo spiritato sarà sicuramente una delle immagini che più vi rimarranno impresse dopo aver visto il film. Completano il cast attori che avevano già collaborato in precedenza con Tarantino, un Kurt Russell finalmente tornato ad altissimi livelli, un redivivo Michael Madsen, un sorprendente Walton Loggins, un grande Tim Roth e un sempre monumentale Bruce Dern, capace di caratterizzare il proprio personaggio solo con un’espressione del volto. Ottime anche le prove di Demián Bichir e Channing Tatum, in un piccolo ma determinante ruolo. I personaggi interpretati da questi straordinari attori sono tutti archetipi del cinema western, completamente diversi fra loro, sia per carattere sia per i forti attriti personali, ma costretti comunque a stare insieme per sopravvivere.
Tarantino riesce ancora a rinnovarsi pur rimanendo fedele al suo stile, dirigendo quello che per sua stessa ammissione è una rilettura de "Le Iene" in chiave western e confermandosi uno dei più grandi registi viventi, con un talento più unico che raro nella sceneggiatura, nella messa in scena e nella costruzione dei personaggi.
Un cacciatore di taglie (John Ruth/Kurt Russel) deve portare una criminale (Daisy Domergue/Jennifer Jason Leigh) alla forca; mentre la diligenza li deve portare verso Red Rock, faranno conoscenza con uno sceriffo (Chris Mannix/Walton Goggins) e un altro uomo al servizio della legge (Maggiore Marquis Warren/Samuel Jackson). Una grande nevicata costringe la diligenza a sostare in un emporio che ospita un messicano (rimasto per sostituire la proprietaria del casale misteriosamente assente), il boia di Red Rock, e un pistolero in viaggio di piacere. Durante la permanenza all'emporio Ruth e Warren iniziano a sospettare che uno dei compagni di “sosta” sia in combutta con Daisy per liberarla e ucciderli, sarà l'inizio di un mistero che sfocerà in una strage all'interno del casale.
The hatheful height è l'ottavo film di Quentin Tarantino e il suo secondo western dopo Django Unchained.
Quando un regista come Tarantino gira un nuovo film c'è chi lo considera sempre come un grande capolavoro del cinema o chi lo accusa di stupidità e povertà di espressione, detto questo “The hatheful height“ si presenta come un film modesto e senza troppe pretese.
La pellicola (il film non è stato girato in digitale) presenta numerose citazioni narrative provenienti da diverse serie televisive western come “Il virginiano” e “Ai confini dell'Arizona”; probabilmente l'idea di sceneggiare un film come fosse una serie a puntate è stato uno degli errori principali in fase di scrittura (dato che una serie a puntate segue regole differenti da quelle stabilite per un film), infatti la storia pur partendo da un'idea interessante presenta numerosi inciampi e incongruenze che si susseguono sino alla fine e che provocano incertezze da parte dello spettatore il quale rimane comunque colpito dal ritmo esasperato e adrenalinico del film.
Inoltre qualche scena (come il lungo piano sequenza iniziale su un crocifisso o la voce fuori campo che appare a metà film) sembra veramente scritta senza alcun senso logico, provocando un forte disturbo nei confronti dello spettatore a cui non viene spiegato il motivo della scelta.
La caratterizzazione dei personaggi non è affatto solida e viene rinnegata scena dopo scena (l'alleanza tra lo sceriffo e il maggiore, a film finito, non è credibile dopo l'odio che provavano l'uno nei confronti dell'altro), a livello di scrittura il film può salvarsi in parte grazie a dialoghi pungenti e articolati, anche se i veri e propri “buchi di sceneggiatura” ne fanno un film scritto più da un autore agli esordi e senza esperienza che da un artista con alle spalle una carriera come quella di Tarantino.
La mediocre sceneggiatura viene comunque compensata dalla grande maestria della messa in scena e del grande talento degli attori (i veri protagonisti del film).
A livello tecnico il film appare quasi impeccabile, sopratutto per quanto riguarda la prima parte e le non poche sequenze splatter.
Il film, nonostante i numerosi riferimenti al cinema d'exploitation (come “Lo squalo” o “ Distretto 13 – le brigate della morte” ), appare più come un'infinita autocitazione stanca e ripetitiva.
Nonostante parecchi inciampi e molte incoerenze narrative, cosa dura da ammettere per un autore di film come “Le iene”, “ Pulp fiction” e sopratutto “ Jackie Brown” (il suo miglior film), la pellicola si salva in larga parte per il ritmo giocoso e molto viscerale che fa di questo “The heathful height“ un divertente e violento film di intrattenimento, anche se sicuramente il peggiore di tutta la filmografia del nostro caro e amato Quentin Tarantino, che stavolta fa il verso a se stesso.
L'ottavo film di Quentin Tarantino (conosciuto anche come "The Hateful Eight") è un film del 2015 diretto da Tarantino. La storia è ambientata nell'inverno del Wyoming, qualche anno dopo la guerra civile americana e racconta di questi improbabili 8 protagonisti che rimangono intrappolati in un emporio a causa di una forte bufera di neve. Tutti questi 8 protagonisti, ognuno per un motivo diverso, dovranno raggiungere la città di Red Rock ma, per un motivo o per l'altro, rimarranno lì piu' tempo del previsto.
La regia di questo film è bella, nonostante non si raggiungano livelli alla "The Revenant" di Iñárritu, e si tiene sullo stile di Tarantino, quindi molto lineare. Solo due scene hanno una regia superiore alle altre. La prima in cui si inquadra il crocefisso e, man mano, la camera scende fino ad arrivare dietro le spalle di Samuel L. Jackson. Quell'inquadratura è molto suggestiva e mi è piaciuta anche perchè inquadrava, pure, tutto il paesaggio intorno e ti faceva capire, fin da subito, dove il film si svolgeva. La seconda scena è quella in cui ci sono i primi 4 protagonisti che ci vengono presentati mentre dentro alla carrozza parlano della guerra civile americana, che era finita qualche anno prima, e del lato in cui stavano durante il conflitto. Questa scena è quella che mi è piaciuta di più sia per la regia, nonostante sia un semplice campo controcampo, sia per la perfezione con cui Tarantino ha scritto la sceneggiatura e, in particolare, i dialoghi. La fotografia è ottima, nonostante ci sia gente che dica che la fotografia sia bizzarra. E' ottima perché è coerente con le scene che Tarantino voleva realizzare. La fotografia però dà il meglio di sè in quelle poche scene che si svolgono all'aperto. Per esempio nelle scene in cui si mettono i paletti che vanno dall'emporio alla latrina per far sì che si crei una sorta di sentiero, oppure nella scena in cui c'è l'incontro tra Warren e John Ruth.
Il film e' diviso principalmente in due parti, la prima in cui vengono presentati tutti i personaggi e la storia. La seconda in cui esce la parte più "tarantiniana" del film, quindi meno dialoghi ma più azione.
La prima parte è caratterizzata da dialoghi perfetti e una caratterizzazione dei personaggi impeccabile. Raramente ho visto una sceneggiatura scritta in maniera così cristallina (l'ultima sceneggiatura così perfetta probabilmente è quella di "Breaking Bad" che non è nemmeno un film). Nonostante i personaggi fossero tanti, Tarantino è comunque riuscito a caratterizzarli tutti in maniera diversa. Per esempio c'è il boia che si comporta da gentleman inglese, c'è il cowboy che fa il duro oppure la prigioniera che si comporta prima da pazza e poi come se lei avesse previsto ogni mossa degli altri personaggi. Un po' come se lei fosse la maestra burattinaia e il resto dei protagonisti fossero i suoi burattini.
La seconda è più splatter, più "action", più tarantiniana. La cosa bella è che Tarantino non fa partire lo splatter di punto in bianco, ma con un crescendo. Parte da un'uccisione di pistola classica, tipica dei film Western, e arriva ai protagonisti che vomitano sangue a causa di un veleno e che impiccano la prigioniera con le loro ultime forze per vendicarsi. Nonostante sfoci in così tanto splatter e così tanta violenza, il film riesce comunque a non perdere la serietà (perchè, di solito, lo splatter suscita una reazione comica nel pubblico) e a mandare avanti la trama. Questo fa capire quanto Tarantino si sia impegnato per scrivere una sceneggiatura bella e ben strutturata.
Il film è molto lontano da qualsiasi genere. Praticamente Tarantino, per realizzare questo lungometraggio, ha preso molte cose da molti generi. C'è un po' di Mistery, c'è un po' di Western (che è il genere dominante), c'è molto splatter e c'è anche un pizzico di black comedy, a mio dire. Lo Splatter è tipico dei film di Tarantino (basti pensare alle ultime scene di “Django” o alla scena degli 88 folli di “Kill Bill Vol. 1”) ma, nonostante questo, lui non fa film di genere Splatter. I film di Tarantino sono unici. Come se ci fosse un marchio che contraddistingue tutti gli altri film da quelli di Tarantino. E' anche per questo che ci sono così tanti fan che difendono i film di Tarantino a spada tratta. Detto questo, il film è esente da difetti? Purtroppo no.
Ci sono due difetti principali in questo film. Uno è la colonna sonora e l'altro è l'inutile voice over che Tarantino ha collocato a metà film.
La colonna sonora, nonostante sia stata scritta da Ennio Morricone, è sottotono rispetto ad altre colonne sonore create in passato (basti pensare a quella de "Django: Unchained" o quella de "Il buono, il brutto e il cattivo", che è un capolavoro di colonna sonora). In questo film risulta "fuori luogo". Mi è sembrato come se Ennio Morricone avesse in mente un altro film rispetto a quello che Tarantino voleva fare. Non combacia bene e mi dispiace per questo perchè le tracce che ha scritto Morricone, prese in maniera a sé stante, sono davvero ottime.
Il voice over, invece, è proprio una cosa che non mi è andata giù. E' stato messo lì obbligatoriamente poichè Tarantino voleva spiegare una cosa in maniera efficace e diretta, solo che ti trasporta fuori dall'ambientazione. Più che altro perchè, per tutta la durata del film, lui non l’ha utilizzata. Il fatto è che Tarantino voleva fare questo film come se fosse una sorta di libro, un romanzo, e in effetti è strutturato come se fosse un libro (per esempio la suddivisione in capitoli), però non è andata come idea.
“The Hateful Eight”, più che un film è un libro. Un libro scritto bene ma che ha dei difetti. Non è il miglior libro dello scrittore ma non è nemmeno da buttare via come romanzo. Per molti questo libro sarà considerato come un "inciampo" da parte dello scrittore, per molti altri sarà uno dei più belli, per molti altri invece sarà semplicemente un libro, che lo si legge e poi lo si mette sullo scaffale.
Il celebre regista americano Quentin Tarantino approda nelle sale con il suo ottavo film dal titolo associato al numero 8 “The Hateful Eight”, gli odiosi otto. Dopo aver aperto le porte del nuovo cinema giovanile americano nel 1992 con “Le Iene”, aver innovato col capolavoro “Pulp Fiction”, essere brevemente affondato con lo sfogo mal riuscito di “Jackie Brown”, aver dato vita ad una vera e propria epopea cinematografica con “Kill Bill”, sviscerato e rivisitato il B-Movie grindhouse con “A prova di morte” ed aver dato delle interessanti chiavi di lettura su precisi periodi storici in “Bastardi senza gloria” e “Django Unchained”, Tarantino si presenta con un lungometraggio che rappresenta un vero e proprio punto di arrivo e di definizione per lui ( quasi quanto lo fu “Pulp Fiction” ).
Nel suo lavoro precedente, “Django Unchained”, Tarantino aveva ripescato stilemi e ritmi dal suo amato genere “spaghetti western”, raccontando una storia di ambientazione storica (l’epoca dello schiavismo) in cui un uomo costretto in una spiacevole situazione da chi si considerava migliore ed al di sopra riusciva a trovare una vera e propria rivalsa sociale, riscattandosi e riscattando la sua etnia di provenienza. Se quel viaggio dell’eroe era un modo per dire: “ecco, questo è il mio omaggio definitivo ad un genere che amo apportando una mia storia che rappresenta dinamiche sociali e fermi ideali in cui credo”, questo suo ultimo film è invece un modo crudo e incisivo per mostrare al proprio pubblico il suo pensiero più politico, severo nel voler comunicare il lato più sfacciato, crudele e miserabile di una nazione: l’America. Il suo antiamericanismo si può notare in tutti i suoi lungometraggi, specialmente in quelli dove vengono esasperati e criticati la maggior parte degli aspetti più violenti e degenerati di personalità quali i razzisti e i criminali più spietati e allo stesso tempo la parte della legge più becera e retrograda. Tutti questi aspetti sono condensati nella grande piece teatrale di 188 minuti che è “The Hateful Eight” (concepita da Tarantino con l’ouverture musicale del maestro Ennio Morricone e con l’intermezzo di 12 minuti), dove l’autore focalizza non solo il proprio pensiero, ma anche il suo particolare e non tradizionale taglio narrativo.
Tarantino suddivide l’opera in due tempi ben distinti, che si sviscerano attraverso lo svolgimento degli eventi in 6 capitoli. Il primo è dedicato alla descrizione e all’analisi dello spazio e dei personaggi che lo popolano, per poi darci nel finale una prima botta nello stomaco come a farci dire: bene, siamo arrivati al punto di non ritorno. La separazione tra quella fin troppo spettrale calma e il delirio più puro è iniziata. Sarà nella seconda parte che lo svolgimento della storia prenderà quella piega estrema che porterà alla degenerazione degli eventi, al racconto delle origini della situazione e poi alla cruda ma necessaria morale finale.
Prima di passare all’analisi dettagliata di ciò che accade è necessario ricordare che il lungometraggio è stato girato su precisa volontà di Tarantino con il formato di pellicola 70mm Panavision, da lungo tempo inutilizzato. Questo formato permette di dipanare l’immagine e di dare maggiore spazio a quanto inquadrato e mostrato, così da poter rendere lo spettatore parte ed osservatore interno di ciò che si trova davanti. “L’antichità” che traspare dalla visione conferisce al film un aspetto classico, invecchiato e cinematograficamente hitchcockiano. Non a caso il film è un anche un omaggio a molti stilemi del genere giallo, da Agatha Christie fino al grande Hitchcock, che vengono fatti convivere nell’ambientazione western, nella liricità e nella drammaticità delle situazioni. Il film assume, anche per questo singolare motivo, un valore di importanza storica, essendo concepito a partire dalla sceneggiatura come una pellicola da realizzare con determinati mezzi tecnici, così da accentuare a livello visivo ciò che si vuole raccontare.
Nel magnifici titoli di testa del lungometraggio, dopo esserci persi sotto le note del superbo ouverture del maestro Morricone, scorgiamo brevi inquadrature che mostrano il Wyoming nella sua freddezza e nella sua aria spettrale. Le immense distese innevate, uno stormo di uccelli che si alza in volo, gli alberi delle foreste coperti dal pesante nevischio. E poi il titolo, che compare nel suo spumeggiante font sullo sfondo nero mentre per un momento si para davanti ai nostri occhi, prima di mostrarci il primo piano di una statua in legno di Cristo. Tarantino si allontana piano da essa facendo scorrere, al ritmo della musica del maestro, la delicata e poetica immagine, mentre i restanti titoli appaiono sullo sfondo ed una diligenza si avvicina da lontano verso di noi. La musica dice già tutto: descrive nelle sue prima introduttive e poi pesanti note il ritmo e l’enfasi che il film assumerà tra la prima e la seconda parte.
La diligenza ci raggiunge, e lo schermo diventa nero. Il primo capitolo può cominciare:
CAPITOLO 1: “L’ULTIMA DILIGENZA PER RED ROCK”
La guerra di secessione è finita da alcuni anni.
L’ex maggiore militare nordista di colore Marquis Warren (impersonato dallo storico attore feticcio di Tarantino, Samuel L. Jackson) viene sorpreso da una bufera incombente e chiede un passaggio alla diligenza che abbiamo scorto nei titoli di testa. Questa è diretta alla cittadina di Red Rock, guidata dal malcapitato ed eccentrico cocchiere O.B. Johnson (James Parks, che aveva impersonato lo storico Figlio Numero 1 del sergente Earl McGraw in “Kill Bill” e in “A prova di morte”), e trasporta il burbero e cinico cacciatore di taglie John Ruth (lo storico ed eccezionale Kurt Russel), soprannominato “il boia” a causa della sua abitudine di portare sempre vivi i suoi criminali alla forca, e la ricercata e perfidamente accattivante Daisy Domergue (Jennifer Jason Leigh).
Warren è divenuto anch’esso cacciatore di taglie dopo la fine della guerra, e si è guadagnato il rispetto di Ruth già tempo prima, mostrandogli una lettera scrittagli da Abraham Lincoln durante la guerra. Viene fatto salire con la promessa di non recare alcun danno al “collega”.
Dopo alcuni dialoghi in cui le personalità dei due vengono messe a nudo e dopo due interessanti stasi musicale al ritmo del classico “Regan’s Theme” e del pop “Apple Blossom”, assistiamo ad una divertente gag che vede la Domergue sputare con disprezzo sulla lettera di Lincoln, la reazione di Warren che la colpisce con forza e lo sfortunato Ruth che viene trascinato giù dalla diligenza a causa della catena agganciata al braccio della prigioniera. Qui si passa all’incontro con il quarto personaggio, e così anche al secondo capitolo: CAPITOLO 2: “FIGLIO DI UN CANE”.
Il tale è un giovane di nome Chris Mannix che, colto dalla bufera come Warren, chiede anch’esso un passaggio alla vettura per arrivare a Red Rock dove sarà nominato nuovo sceriffo. Ruth conosce il tizio come un prepotente rinnegato sudista, e Warren lo conosce come suo avversario. Proprio per questo inizieranno le prime divergenze in carrozza, e nel corso dei dialoghi vengono rivelati dettagli fondamentali sul passato di Warren che, per fuggire da un campo di prigionia sudista, aveva appiccato un incendio uccidendo non solo le reclute dei confederati ma anche altri prigionieri della sua stessa compagnia. Qui Tarantino, che ha mantenuto la calma contemplativa di un ritmo lento (che quasi ricorda il grande Bela Tarr nella sua ultima opera “Il Cavallo di Torino” e la storica scena della diligenza nell’inizio di “Giù la testa” del maestro ispiratore Sergio Leone), inizia a lanciare i primi segnali di tensione, quando la pistola di Warren viene spianata vicino al volto di Mannix e Tarantino colloca nell’audio le flebili grida delle vittime ed il distante rumore dell’incendio, senza farci comprendere se i suoni sono nella testa del maggiore o nelle parole del neo sceriffo. Come alla fine di ogni capitolo, il suono di un colpo duro e secco ne accentua la separazione dal prossimo, non come a farci percepire un distacco, piuttosto come a farci sfogliare la parte successiva del grande romanzo in cui ci stiamo sempre di più addentrando.
CAPITOLO 3: “L’EMPORIO DI MINNIE”
Nel terzo capitolo, “L’emporio di Minnie”, al suono di una musica enfatica giungiamo all’emporio di Minnie Mink, donna mulatta e in carne che gestisce il posto insieme allo sfaticato marito Sweet Dave.
E’ un luogo in cui le persone passano per acquistare cianfrusaglie e bere qualcosa di caldo durante il tragitto per Red Rock, diviene per i nostri personaggi un riparo dalla bufera che imperversa sempre di più nella sua soffocante potenza. Ad accoglierli non trovano però Minnie e Sweet Dave, bensì Bob, un taciturno e misterioso messicano che dice di essere stato nominato gestore sostitutivo del posto dagli stessi due proprietari, dopo la loro partenza per andare a trovare la madre di lei. Mentre Ruth entra con Daisy nell’emporio, Mannix, Warren e O.B. aiutano Bob nella sistemazione dei cavalli della diligenza all’interno delle stalle. Per entrare nell’emporio è necessario buttare giù la porta a suon di calci, essendo rotto il chiavistello, per poi doverla serrare a causa della bufera. L’entrata è infatti sbarrata con due travi di legno inchiodate, ed ogni volta queste vanno riposte nuovamente e inchiodate in modo da tenerle fisse. Questa è una di quelle piccole chicche ironiche che Tarantino inserisce all’interno delle sue opere, accentuando un senso di inutilità in queste disparate situazioni che non possono che portare alla resa ridicola del tutto. Un po’ come la scena dei sacchetti in “Django Unchained”. In questo film, l’azione verrà ripetuta per ben più di una volta. Ruth conosce gli altri tre ospiti del posto: lo strano ma intrigante Oswaldo Mobray ( il grande Tim Roth), il solitario e cupo mandriano Joe Gage (la vecchia conoscenza Michael Madsen) e il generale confederato Sanford Smithers (il “veterano” Bruce Dern). Il primo si rivela essere il boia cittadino, e quindi quello che si occuperà dell’impiccagione di Daisy, mentre gli altri due dichiarano di essere un semplice uomo intenzionato a tornare a casa della madre per Natale ed intento a scrivere la storia della sua vita ed un vecchio in visita alla tomba simbolica fatta erigere anni prima per il figlio, scomparso in quelle zone e mai più ritrovato. Ruth, benché possa provare più o meno simpatia per gli ospiti, non si fida comunque di nessuno, fa valere il suo carattere autoritario e impone il rispetto a tutti gli altri.
Durante le presentazioni e i discorsi di Ruth con gli ospiti, il montaggio alternato ci mostra Mannix e O.B. intenti a fissare dei picchetti nella neve che tracciano un percorso dall’emporio fino alla latrina poco distante. Molti hanno riconosciuto in questa scena un’analogia con “La Cosa” di John Carpenter, dal che i detrattori di Tarantino gli imputano il plagio del “concept”. Ormai si sa da tempo che Tarantino costruisce la sua filmografia sulle opere del passato che hanno formato la sua cultura. Si ispira ad esse, e poi inventa creando mondi e dinamiche tra personaggi in modo totalmente innovativo. Mostra l’esaltazione del delirio umano usando toni ironici o satirici. Il film condivide con “La Cosa”, come dichiarato dallo stesso Tarantino, quella sensazione di paranoia presente anche in un altro suo film claustrofobico come “Le Iene”, che fu fortemente influenzato dall’opera di Carpenter. Lo stesso Morricone, che curò il tema principale de “La Cosa”, ha confermato che alcune tracce musicali scartate da Carpenter sono state poi da lui rielaborate per il film di Tarantino, modificando arrangiamento e connotazione dando così quell’intensità e allo stesso tempo quell’ironia presente nei film di Quentin. Il plagio de “La Cosa” non è neanche da prendere in considerazione per la diversità del tipo di film, dello scopo finale del racconto e della messa in scena. E’ solo uno degli ennesimi tentativi dei detrattori dell’autore, che non possono che rimanere in balia delle loro false dichiarazioni colte.
Al rientro di tutti i presenti sul posto, la situazione si presenta tesa ma ancora in bilico sul “filo del saltimbanco”. La buffa suddivisione di territorio identificato nelle due differenti parti d’America, la rivelazione della falsità della lettera di Lincoln (che provoca la “separazione” di una importante alleanza all’interno della storia, quella tra Warren e Ruth, dato che quest’ultimo era davvero convinto di quanto detto dal collega che godeva del suo rispetto a causa di quel singolo dettaglio) e il dialogo tra Warren e Smithers (punto cruciale che sancisce il punto di arrivo della prima parte) nel quale il nero comunica spietatamente al confederato di avergli ucciso il figlio dopo essersi fatto praticare una fellatio. In questa scena chiave, vengono mostrate delle immagini ambientate nel passato che mostrano la morte del giovane per mano di Warren. Non si sa se è il pensiero di Smithers che immagina la umiliante e cruenta scena, o la realtà effettiva di quanto è accaduto. La botta nello stomaco arrivata allo spettatore coincide con l’innalzarsi della colonna sonora, con lo sguardo scandalizzato di Smithers e con quello gioioso e soddisfatto di Warren e poi, infine, con il colpo di pistola che parte dal maggiore e che uccide il confederato dopo che questi tenta di reagire alla provocazione con l’arma messagli lì acconto dal nero. E qui, con la chiusura del pianoforte con cui Bob ha tentato di suonare “Silent Night” prima del dialogo, il quarto colpo arriva e lo schermo nero spunta nuovamente. INTERMEZZO
CAPITOLO 4: “DOMERGUE HA UN SEGRETO”
Nella riapertura, dopo i dodici minuti di intermezzo, una canzone dolce echeggia in sottofondo sullo schermo nero per pochi secondi prima di dare spazio sonoro alla voce narrante dello stesso Tarantino, che entra prepotentemente in scena con un: “abbiamo lasciato i nostri personaggi circa 15 minuti fa…” narrando di come si sia risolta la questione dell’omicidio del generale, con i tre uomini dalla “parte della legge” (Mobray, Mannix e Ruth) che hanno dovuto concordare sulla legittima difesa facendo poi così portare ad O.B. (che vive ogni situazione da malcapitato della sorte) e a Gage il cadavere del vecchio sul retro dell’emporio. Nella tranquillità della situazione, un fermo immagine sulla Domergue e una intrigante base musicale del maestro partono in contemporanea all’enfasi della voce narrante per descrivere un dettaglio fondamentale. Si torna leggermente indietro nella storia, al discorso di Warren su “cazzi neri nelle bocche dei bianchi” mostrato però dal punto di vista della prigioniera. Lei si è accorta di un dettaglio che nessuno nell’emporio ha notato: qualcuno, visto solo da lei, ha avvelenato il caffè. Nel magistrale movimento di camera ci viene mostrata una mano con un guanto che, in perfetto stile giallo, solleva il coperchio della sgargiante caffettiera azzurra e ci versa all’interno una sostanza proveniente da una boccetta. La caffettiera, mostrata nella prima parte come oggetto di contorno alla vicenda, diventa ora elemento portante accanto ad un altro: la chitarra presente nell’emporio e che la Domergue chiede di poter suonare non essendo stata ancora riammanettata. In uno dei momenti più intensi dell’intero film, la donna si lascia andare alla ballata di Jim Jones che suona ed intona (e il tutto è reso in modo ancora più realistico dal suo strimpellare sulle corde e dalla voce roca con cui canta). Nel mentre, O.B. e Gage “rincasano” e si apprestano a inchiodare nuovamente la porta, ultima volta in cui il gesto verrà compiuto durante il film, per poi riprendere le loro abitudini all’interno del posto. La messa a fuoco si sposta tra ciò che avviene alle spalle della ragazza, dove è posizionata la pittoresca caffettiera, e la sua espressione durante la canzone. O.B. afferra la caffettiera, si versa del caffè e lo beve avvicinandosi così al suo triste destino che noi sappiamo dovrà presto compiersi. Egli si rivela così vittima sacrificale, fuori dagli odiosi otto, rimasti in sette dopo la dipartita di Smithers. Il secondo a versarsi il caffè è Ruth, che lo tiene nella tazza per poi avvicinarsi alla prigioniera. Questa si accorge del gesto che sta per compiere e, cogliendo l’occasione, si appresta ad eseguire quanto richiestogli dal carceriere: continuare a cantare. Ruth, nell’inevitabilità di ciò che accade, beve il caffè e il sogghigno della Domergue ci viene mostrato nella sua gioia. Grazie alla perfetta distanza tra spettatore e personaggi, noi condividiamo il segreto di Domergue, ci sentiamo parte di esso quanto lei, un segreto che tiene per sè e che la porterà alla liberazione. Difatti concluderà la canzone con il verso improvvisato: “…e tu sarai un morto John, ed io andrò in Messico..”. Ciò provocherà una reazione rabbiosa da parte dell’uomo che, sentendosi offeso, distrugge la chitarra per poi incatenare nuovamente la prigioniera a sé, sotto l’espressione insoddisfatta di lei. Ruth morirà, ma lei non potrà essere ancora libera dalle catene. La musica carica di tensione sale. In due hanno bevuto il caffè, e qualcosa deve accadere. Mobray e Gage di lato, Warren seduto a tavola, Bob dietro al bancone, O.B. vicino ad esso e Mannix… che si sposta verso la caffettiera. La afferra, e l’inquadratura si sposta su tutti i personaggi inquadrandoli uno per uno. Mannix si versa il caffè. Domergue se ne accorge e sogghigna da lontano. Mannix si porta il caffè alle labbra. Ruth vomita sangue sul bancone, e la musica cessa d’improvviso. Mannix si immobilizza, così come O.B. che segue il cacciatore di taglie nei conati, stramazzando a terra. Ruth si gira verso Daisy, che gli mormora un sadico: “quando arrivi all’inferno John, dì che ti manda Daisy”, mentre la terrificante ed allo stesso tempo ironica musica riprende. La furia di Ruth, consapevole di stare per morire, si manifesta in un nuovo pestaggio della donna. I due avvelenati stanno morendo contemporaneamente, e Mannix viene avvertito da Ruth degli effetti del caffè buttandolo così di lato. Vengono inquadrati tutti all’interno del posto durante l’orrorifica e straziante scena, meno Warren che subentra nella fine della sequenza quando gli strumenti musicali raggiungono l’apice della loro enfatica melodia nel momento in cui la Domergue estrae la pistola dalla cinta di Ruth e lo finisce con un colpo in pieno petto. La pistola di Warren viene puntata alla testa della Domergue, che ha ormai il volto cosparso del sangue di Ruth (sia quello vomitato che quello fuoriuscito dopo il colpo dell’arma). La chiave che la donna cerca di estrarre dalla giacca di Ruth viene presa e gettata nella stufa da Warren, che ora prende in mano la situazione con il pugno di ferro intimando ai restanti di mettersi con le spalle contro al muro. Uno di loro deve aver avvelenato il caffè, e l’uomo è intenzionato a scoprire chi è stato. Si affianca, dovendo fare buon viso a cattivo gioco, a Mannix che ricopre con lui il ruolo di “investigatore” della faccenda, essendo l’unico di cui il nero si può fidare in quanto sarebbe stato vittima dell’avvelenamento se non fosse stato bloccato dalla morte dei due.
Nella parte che segue, comincia il “giallo” con l’indagine condotta da ideali Sherlock Holmes e Watson, che spezzano tutti i canoni e le dinamiche caratteristici dei due eroi della letteratura di Doyle. Se “Holmes” mantiene sempre un’eccentrica eleganza, Warren si dimostra invece pesantemente decisivo ed intenzionato fin da subito a puntare su un preciso obiettivo (della cui colpevolezza è convinto) smascherandolo in ogni modo possibile. Il suo obiettivo è Bob, che fin da subito gli era sembrato sospetto e poco convincente. Mannix punta subito sul solitario Gage, tornando sulla sparizione di Minnie e Sweet Dave i quali non è convinto che siano realmente partiti, conoscendo molto bene le loro abitudini.
I tre interrogati si trovano nelle stesse posizioni di costrizione, e sono sospettabili l’uno quanto l’altro. Avendo l’alibi del pianoforte, Warren ribadisce il fatto che il messicano possa non aver avvelenato il caffè ma che comunque potrebbe essere in combutta con chi l’ha fatto. Quella che si pensava fosse un’assurda paranoia di Ruth si sta rivelando una giusta intuizione: qualcuno di loro sta complottando con la prigioniera, che aveva ironicamente confermato, per poterla liberare. Bob viene spietatamente ucciso da Warren che poi, come massimo spregio ed atto di disprezzo su un corpo umano, gli fa esplodere il cranio con altri due colpi di pistola. Minacciando di versare il resto del caffè, un po’ come legge del contrappasso, nella gola di Daisy se uno dei due rimasti non si fosse deciso a confessare la sua colpevolezza, Warren si avvia verso la prigioniera. Arrivatole quasi vicino il maggiore ottiene la confessione di Gage. Mannix è entusiasta di avere indovinato, e dà una maggiore dimostrazione della sua spavalderia.
Un immenso movimento di camera dall’alto verso il basso percorre la schiena di Warren, intento ad ascoltare il suo nuovo collega che infierisce a parole verso Gage e, come la scena rivelatrice di “Bastardi senza gloria”, ci conduce sotto alle tavole del pavimento portandoci nella dispensa dell’emporio. Qui, nascosto nel buio, vi è un inaspettato e misterioso nono personaggio.
Questo dà vita ad una delle classiche “chicche sanguinarie” dello stile di Tarantino, ma che mai avremmo potuto pensare che venisse destinato al forte e fondamentale personaggio di Samuel L. Jackson, facendo esplodere i testicoli al suo personaggio. Si comprende così perché Gage avesse dichiarato l’avvelenamento mentre Warren era in quell’esatta posizione, così che il suo complice potesse avere l’adatta visuale per sparare al loro attuale nemico. Il dolorante e sanguinante maggiore, così, precipita d’improvviso a terra, mentre lo sceriffo si gira di scatto verso di lui. Inizia il ralenty. A questo punto anche Mobray si rivela complice della faccenda, recuperando un arma nascosta precedentemente nell’emporio e sparando a bruciapelo a Mannix, che cade a terra, non prima di essere riuscito a rispondere al fuoco con un colpo sparato nel ventre di Mobray. Questi si lascia andare ad un rantolio dolorante e cade sul pavimento. Mannix punta la pistola anche verso Gage, che è però disarmato. La situazione è: lo sceriffo a terra, così come Mobray e Warren che, nella sua espressione di sconfitta improvvisa ed inaspettata e di debolezza, muove la testa ad occhi serrati mentre il ralenty procede. Il capitolo si chiude, questa volta senza il colpo nello stomaco ma nella calma delle tristi note che ora salgono. Si passa al quinto e penultimo capitolo, portatore di potenti rivelazioni a proposito della genesi della storia:
CAPITOLO 5: “I QUATTRO PASSEGGERI”.
Si torna con un improvviso salto temporale alla mattina di quella giornata, mentre una diligenza guidata dal vecchio Ed e da Judy “sei cavalli” (la storica Zoe Bell, stunt-girl amica di Tarantino, interprete di se stessa in “A prova di morte” e comparsa in “Django Unchained”) si fa strada nell’ancora soleggiato paesaggio percorrendo le stesse strade poi attraversate dalla diligenza di O.B. verso Red Rock e quindi, nel mezzo, verso l’emporio. La diligenza si ferma davanti all’emporio di Minnie, e mentre lo stalliere di colore della Mink, Charlie, inizia a sistemare i loro cavalli, Judy scende dalla guida della diligenza e si rivolge a dei misteriosi individui a cui ha dato un passaggio. Costoro non ci vengono mostrati. Tarantino visualizza dei dettagli, come le mani che aprono le porte della diligenza, i piedi che si posano sullo scalino d’uscita e che poi salgono le scale d’entrata dell’emporio.
All’interno dell’emporio ci viene da prima mostrata Minnie nella soggettiva dei misteriosi figuri. La donna chiede poi loro di presentarsi. Mentre la musica intrigante è già iniziata dal momento della loro discesa dalla vettura, qui prosegue mentre la carrellata di rivelazione mostra i loro volti: essi sono Bob, Gage, Mobray e quel misterioso personaggio che abbiamo visto essersi nascosto nella dispensa, e il cui nome è Jody. I quattro hanno chiesto un passaggio, e si presentano come dei viandanti diretti a Red Rock. Nell’emporio sono presenti anche una serva di colore, Gemma, il burbero e pigro Sweet Dave, seduto sulla sua adorata poltrona, e il generale Smithers, intento a giocare a scacchi con il proprietario. I quattro passeggeri si preparano a mettere in atto qualcosa, pensando al momento in cui agire. Dopo una serie di movimenti e di posizioni trovate nel posto, si danno un segnale. Jody si posiziona al bancone, davanti a Minnie e di fianco ad Ed. Mobray si posiziona sotto allo scaffale dove sono tenute le caramelle, di cui Gemma sta prendendo un vaso, in piedi su una scaletta. Bob è fermo davanti a Sweet Dave. Gage ha il volto rivolto, mentre succhia avidamente un bastoncino alla menta, verso la allegra e spensierata Judy. Al segnale, tutti sparano. Jody rivolge la sua arma verso Minnie per poi sparare anche ad Ed. Mobray colpisce la serva sulle scale, mentre questa fa cadere il vaso contenente le caramelle, che si spargono per tutto il pavimento. Gage colpisce spietatamente Judy. Infine Bob sta per sparare a Sweet Dave, ma in quel momento Charlie ritorna all’interno dell’emporio. Il messicano quindi si gira e spara verso di lui, ferendolo e facendolo cadere verso l’uscita e rompendo anche il chiavistello. Questo rapido sterminio è sì improvviso e spietato, ma anche ironico, essendo rivelatore di molti dettagli poi ritrovati da noi come incongruenze in quella che non sapevamo ancora essere una messa in scena. Un esempio è la caramella trovata da Warren a terra, rimasta per errore nell’incavo del pavimento dopo la “pulizia” delle prove, con il suo vaso d’origine mancante (quello caduto a Gemma) ed il mistero della porta senza chiusura che ora si spiega. E’ il caso anche dell’ultima vittima del massacro (il povero Sweet Dave) che viene accoltellato da Bob dopo che questo aveva finito i proiettili scaricati contro la porta. In seguito uno degli indizi trovato dal maggiore per incolpare il messicano e capire l’effettiva prova della morte dei proprietari sarà proprio il sangue rimasto sulla poltrona, poi coperta con una serie di trapunte di stoffa.
Si assiste ora ai tre splendidi momenti finali della genesi dell’opera:
1) Gage si reca all’esterno dell’emporio e, a ritmo di una dolce canzone, afferra un fucile e si dirige verso il povero e ferito Charlie grazie alla pista di sangue che ha lasciato. Lo trova in un piccolo stanzino sul retro del posto. Qui apre la porta, lo fissa, e benché questi lo implori di risparmiargli la vita, gli spara senza esitare.
2) Jody si mette a parlare con Smithers, lasciato in vita perché ritenuto un elemento sostanziale per rendere più credibile la situazione che il gruppo vuole mettere in scena. Si scopre infatti che i quattro sono una banda di criminali, la banda Domingre, intenzionata ad attendere l’arrivo di Ruth così da poter liberare Daisy, amata sorella di Jody, ed impedire che venga portata alla forca. Il generale, impaurito e menefreghista, decide di collaborare con il gruppo fingendo di non sapere quanto accaduto.
3) Accompagnati dalla voce narrante di Quentin che ritorna in campo, i quattro finiscono di sistemare l’emporio per rendere credibile il tutto. Nascondono le armi necessarie per un’emergenza e gettano i cadaveri nel pozzo. All’arrivo della diligenza sotto la bufera, Bob si reca all’esterno ad accogliere Ruth e gli altri arrivati. Mobray si siede sulla poltrona di Sweet Dave davanti a Smithers, Gage si rintana nell’angolo dell’emporio e Jody si chiude nella dispensa passando da una botola. Tutti aspettano. Sono in attesa della venuta di Ruth. Si accorgono dalle voci dell’esterno che non è da solo, e che quindi l’impresa sarà ancora più dura. Attendono l’arrivo. Ruth bussa alla porta.
“Dovete aprirla con i calci”, gli urlano Gage e Mobray. Questa con un calcio si apre. Torna l’inquadratura con cui erano iniziate le vicende all’interno dell’emporio. Il colpo finale si sente di nuovo per farci avviare al capitolo conclusivo.
ULTIMO CAPITOLO: “UOMO NERO, INFERNO BIANCO”.
L’inquadratura che mostra la sedia a cui Mannix si è appoggiato per spingersi verso il letto dove Warren si è accasciato apre il ritorno al presente che condurrà all’epilogo dell’opera. I due uomini “dalla parte della legge” si trovano vicini, lo sceriffo con una ferita al ventre e il maggiore con lo scroto distrutto, mentre dall’altro lato dell’emporio vi sono Daisy, incatenata al cadavere di Ruth, Mobray seduto e con la ferita mortale che sanguina e Gage indenne e in piedi. I due uomini armati intimano a Jody di uscire fuori dalla botola altrimenti spareranno alla ragazza. Questi acconsente, e appena esce con la testa fuori dalla botola e dopo aver incrociato lo sguardo della sorella (con cui riesce a scambiarsi poche parole) viene spietatamente freddato da Warren prima di ricadere nella dispensa. Daisy è ancora una volta bagnata dal sangue di qualcuno, questa volta da quello del fratello, e Warren è deciso nella sua ferocia, dopo la “ferita evirante”. Daisy spiega ai due la storia della banda Domingre, minacciandoli che se non acconsentiranno a farli scappare gli altri quindici membri del clan sopraggiungeranno vendicandosi sulla popolazione di Red Rock. La dinamica che conduce il film al suo finale è incentrata sullo scambio di battute e sulle azioni che da quelle scaturiscono. Warren, come già detto, è feroce e privo di ragione mentre Mannix si rivela più valutatore e calcolatore. Ragiona e formula teorie su cosa può accadere. I ruoli si invertono per un attimo, per poi rincontrarsi. Così come Warren aveva notato i dettagli che gli avevano fatto intruire molte cose, ora è Mannix a prendere la decisione finale di non ascoltare le lusinghe e le “belle parole” della Domergue e di rimanere fedele al nero, ricordandosi che quando anche lui stava per bere il caffè la ragazza non aveva fatto niente per evitarlo, considerandolo un ostacolo alla sua fuga. Nell’estremo e drammatico finale, i “due della legge” rimarranno da soli con la ragazza e, su proposta del nero condivisa pienamente dal bianco, onoreranno la tradizione del loro compianto Ruth issandola di peso su una delle travi dell’emporio ed impiccandola sadicamente con le ultime forze rimaste. La giustizia è completata, e i due possono accomiatarsi soddisfatti dalla vita. Manca ancora qualcosa però. Qualcosa che faccia sentire a Mannix il vero spirito di Warren, che lo faccia sentire un vero e proprio “pezzo di merda uguale a lui”: leggere la SUA lettera di Lincoln. Il maggiore acconsente, e gliela passa facendogliela leggere con enfasi. La camera parte dai due uomini morenti e si innalza fin sopra il cadavere appeso della donna. Finisce la lettura della lettera, che nel suo patriottismo falso ed illusorio viene accartocciata e gettata di lato dopo aver ricevuto un complimento per il dettaglio commovente dell’inserimento della moglie di Lincoln, Mary.
I due continuano ad aspettare la loro morte, e si lasciano andare mentre inizia la magnifica e malinconica canzone “There’s no be many coming home” che conduce ai titoli di testa iniziati con:
Written and Directed by Quentin Tarantino.
In conclusione vorrei individuare due valori presenti in questo film ed anche in altre opere di Tarantino, che servono a valorizzare massimamente quest’opera.
1) La netta suddivisione in due parti è presente in altre sue opere come “Kill Bill” (lì è stata accentuata nella divisione, forzata dalla produzione, dei due volumi) e “A prova di morte”. In queste due opere il ritmo e gli eventi sono descritti in modi deversi nei due tempi. Nella prima parte di “Kill Bill” ci sono azioni ed avvenimenti, mentre nella seconda c’è contemplazione, calma e analisi introspettiva. In “A prova di morte” l’introduzione è centrata sulla presentazione e le entrate in scena dei personaggi della storia mentre nella seconda vi è un netto cambio di fotografia, la presa di coscienza di uno dei personaggi e la sua distruzione per mano di altri personaggi.
2) La forte analisi politica condotta all’interno del film. Si va al di là del semplice discorso razziale, della semplice analisi del male fatto ai neri dai bianchi. Si mettono in evidenza gli aspetti contraddittori. Si parla degli uomini, della cattiveria che ognuno ha verso l’altro. Il generale Smithers ha fatto del male ai neri durante la guerra, ma Warren gli ha spietatamente ucciso il figlio. Così come ha sacrificato la vita di molti suoi compagni uccidendo dei nemici. Lo sceriffo, nella sua esaltazione di fede sudista e di miti costruiti in una vita fatta di leggende e di credenze, scopre i lati più beceri e reali del mondo finendo per accettarli prima di una fin troppo prematura dipartita. La banda Domingre conduce una sorta di nobile azione tentando di liberare la donzella in pericolo, facendo però uso di violenza estrema e sterminando un gruppo di innocenti per raggiungere questo scopo. O.B, il malcapitato cocchiere, si aggiunge al gruppo di innocenti. Tutto il contrario di Mannix e Warren che, condotti dal fato prima sulla diligenza e poi all’emporio, si sono poi voluti spingere più in là, credendo a valori di “tradizione di legge” e di “potenza americana”, il giusto che deve prevalere su ciò che è sbagliato. E ciò lo dimostreranno anche nel crudele gesto finale quando impiccheranno la povera Daisy. Una giovane criminale che condivideva un ruolo importante insieme al fratello all’interno di una banda. I valori vanno difesi, i LORO dalla parte del giusto devono prevalere sui SUOI, sbagliati. Non c’è uomo bianco sudista e non c’è uomo nero nordista in quell’elevarsi a giustizieri, ma solo due bestie che sbranano un’inerme preda. Cosa che li condurrà alla consapevolezza di aver fatto la cosa giusta per rendere il mondo un posto migliore. Moriranno esangui credendo in quei beceri valori. Un chiaro segno con cui Tarantino dice: questo è l’uomo, questa è l’America.