Il punto di vista, insieme al tono e alla densità narrativa, costituisce un elemento essenziale della configurazione necessaria alla narrazione fiction cinetelevisiva che prende forma nella sceneggiatura. Per configurazione si intende l’insieme delle operazioni di modellazione che il materiale narrativo ancora grezzo (eventi, personaggi e ambientazione) subisce per renderlo unitario e coerente prima della sua articolazione in sequenze.
Uno stesso evento agli occhi di chi guarda può cambiare completamente natura al variare del punto di vista. Accade nella vita quotidiana, ed accade anche nella narrazione: il punto di vista in un racconto è la prospettiva dalla quale sono visti storia e personaggi nel loro muoversi all'interno dell'ambientazione.
Il punto di vista dipende, in ambito cinetelevisivo, da due fattori che si combinano a vicenda: l’identità del narratore apparente e la focalizzazione dei personaggi.
Nella gran parte delle opere cinetelevisive il narratore apparente è implicito: tutto è descritto mediante azioni, e i pensieri dei personaggi e i giudizi degli autori possono solo essere dedotti dagli eventi o dai dialoghi. Tuttavia alcune opere cinetelevisive rivelano la presenza di un narratore apparente e in questo caso lo chiameremo esplicito. Il più comune modo di esplicitare il narratore è attraverso una voce narrante sovrapposta alla sequenza visualizzata. Se il narratore apparente che parla al pubblico coincide con uno dei personaggi, viene definito intradiegetico, se è esterno alla vicenda, extradiegetico.
In Barry Lyndon (r. di Stanley Kubrick, 1975, Regno Unito, USA) viene utilizzata una voce narrante extradiegetica: un narratore esterno al racconto riassume gli eventi, commenta le vicende e riferisce i sentimenti del protagonista.
In Arancia meccanica (A Clockwork Orange, r. di Stanley Kubrick, 1971, Regno Unito, USA) il protagonista ogni tanto interviene come voce narrante intradiegetica per esprimere i propri pensieri e le proprie intenzioni.
Nelle opere cinetelevisive la voce narrante non è l’unico mezzo a disposizione per portare allo scoperto il narratore. Se un film è costruito ad esempio sul ritrovamento fittizio di documenti o diari, diviene evidente qual è il punto di vista attraverso il quale vengono visualizzate le scene successive, anche in assenza di voce narrante.
La focalizzazione indica il grado di vicinanza narrativa del racconto ad uno o più personaggi e per questo influenza in maniera determinante il punto di vista. Nel caso del cinema e della televisione indica in che misura la camera sta sul personaggio.
La focalizzazione esterna permette di guardare agli eventi in maniera apparentemente oggettiva, saltando da un personaggio all’altro secondo le necessità del racconto. In questo caso il film è obbligato ad una certa lealtà nei confronti dello spettatore: vi è la promessa implicita che tutto ciò che è importante ai fini del racconto verrà mostrato.
Ne Il dottor Stranamore - Ovvero: come ho imparato a non preoccuparmi e ad amare la bomba (Dr. Strangelove or: How I Learned to Stop Worrying and Love the Bomb, r. di Stanley Kubrick, 1964, USA) vengono di volta in volta focalizzati tre diversi gruppi di personaggi che si trovano prevalentemente in tre luoghi diversi (la base aerea, il B52 e la war room).
La focalizzazione interna offre invece una visuale degli eventi coincidente con uno dei personaggi: vengono visualizzate solo le scene dove il narratore è fisicamente presente e dunque quel che accade è mostrato implicitamente dalla sua angolazione. Così, eventi importanti per la storia non vengono mostrati solo perché quel personaggio non li vede. Quasi sempre si tratta del protagonista, ma può trattarsi anche di una figura secondaria, magari un aiutante o il mentore o un testimone.
In Lolita (r. di Stanley Kubrick, 1962, Regno Unito, USA) la focalizzazione è concentrata sul protagonista: il professor Humbert Humbert.
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