C'È ANCORA DOMANI

regia di Paola Cortellesi, IT, 2023


di Andrea Brio

C’è ancora domani (Italia, 2023) è ambientato a Roma, durante la primavera del 1946, e racconta la storia di Delia, moglie del violento Ivano e madre di tre figli, tra cui l’adolescente Marcella. Tra faccende domestiche, lavori vari e l’amicizia con la spiritosa e ottimista Marisa, Delia è spesso vittima di abusi da parte del marito. Nel frattempo Marcella, che dispregia la madre per la passività con cui subisce le angherie, si fidanza con Giulio, giovane rampollo di una famiglia benestante. L’evento crea non poco scompiglio in famiglia, portando Delia a riconsiderare il proprio ruolo di moglie, madre e donna. Il film è diretto, interpretato e scritto (in collaborazione con Furio Andreotti e Giulia Calenda) da Paola Cortellesi.

La vicenda narrata si svolge lungo un arco temporale di circa un mese concludendosi proprio il 2-3 Giugno del 1946, giorni nei quali in Italia si tennero le prime elezioni dopo il periodo di regime fascista che aveva interessato il Paese nel ventennio precedente. Per la prima volta nella storia d’Italia si votò con suffragio universale. Agli elettori di ambo i sessi vennero consegnate contemporaneamente la scheda per la scelta fra la Monarchia e la Repubblica (il cosiddetto referendum istituzionale) e quella per l’elezione dei deputati dell’assemblea costituente a cui sarebbe spettato il compito di redigere la nuova carta costituzionale. Ciononostante, quello di Paola Cortellesi non è assolutamente un film “politico” e nemmeno un film “storico”. Che C’è ancora domani non proponga un discorso di natura rigorosamente politica sembra non importare a nessuno. Quello che curiosamente emerge dai commenti dei critici, i quali giustamente sottolineano la dimensione a-storica del film, riguarda soprattutto la questione della libera rielaborazione di un dato passato utilizzato dagli autori come pretesto per intraprendere un discorso perfettamente in linea con la contemporaneità. Da ormai più d’un decennio, del resto, sono sempre meno le produzioni cinematografiche impegnate ad affrontare questioni specificatamente legate ai conflitti politici, ancor meno sono poi quei film che riescono a trovare nei numerosi problemi che tali conflitti attualmente comportano una qualsiasi soluzione confortante. In altre parole, le poche produzioni contemporanee che affrontano o alludono a conflitti di natura politica non contemplano epiloghi altrettanto incoraggianti quanto le numerosissime produzioni internazionali odierne basate su conflitti di altro tipo, nella fattispecie relazionali, personali, etnici e di genere. Il film di Paola Cortellesi rientra nell’ultima di queste quattro categorie.

Partiamo dal tema. C’è ancora domani NON è un film sull’oppressione e sulla violenza che un sistema di tipo maschile esercita nei confronti delle donne. Se il film fosse stato realizzato cinquanta o sessant’anni fa probabilmente il tema sarebbe stato questo. Sono molti, del resto, i film italiani del passato incentrati su un simile sottotesto: Io la conoscevo bene (r. di Antonio Pietrangeli, 1965), Una giornata particolare (r. di Ettore Scola, 1977), solo per citarne alcuni. E all’epoca non poteva che essere così. Nonostante il nostro “belpaese” si dichiarasse a favore dell’uguaglianza tra i sessi, in quegli anni la condizione femminile era ancora piuttosto critica. L’assenza di una legge che favorisse il divorzio e l’aborto, così come le pene che venivano assegnate per quelli che erano ancora considerati reati (adulterio, delitto d’onore) andavano di fatto a discapito delle donne, non degli uomini. Per questo, nonostante furono tanti i film che cercavano di sensibilizzare l’opinione pubblica su temi del genere, c’era ancora molta strada da fare. Oggi le cose sono cambiate. Certo, se il germe del patriarcato e della violenza sulle donne fosse estinto non ci sarebbe nessun C’è ancora domani di cui parlare. Come abbiamo già detto, del resto, il film di Paola Cortellesi utilizza il passato per parlare del presente. Tuttavia, il film propone un happy end che nei trascorsi della nostra cinematografia nazionale sarebbe stato sicuramente difficile trovare, per non dire impossibile. C’è ancora domani è infatti un film che a dispetto del gioco di parole, o forse anche in virtù di questo, non può non essere specchio del suo tempo. Ecco perché pensiamo che il sottotesto della storia sia diverso. In effetti, usciti dal cinema non si può fare a meno di pensare, abbozzando un sorriso di soddisfazione, che nonostante siano ancora tante le forme di oppressione maschile nei confronti delle donne, il cosiddetto “sesso debole” sia in realtà più forte di quanto non si pensi, e che le donne, se vogliono, possono essere perfettamente in grado di ribellarsi e di farsi valere senza per forza cercare, come vedremo, un’ancora di salvezza in singoli maschi eletti come salvatori. Questo è il messaggio del film, il suo tema più rilevante. Accanto a questa idea dominante, C’è ancora domani propone un tema secondario, strettamente connesso a quello principale, che in pochi hanno preso in considerazione e che potrebbe essere così riassunto: l’oppressione che gli uomini esercitano nei confronti delle donne si trova tanto tra i ricchi quanto tra i poveri. Come vedremo, questo tema è di vitale importanza in quanto contribuisce a rendere ben chiaro allo spettatore, e alla stessa Delia, la portata di tali ingiustizie e il bisogno impellente di cambiamento.

A questo punto però dobbiamo frenare l’entusiasmo di certi critici a nostro parere troppo arditi. In altre parole, per comprendere nel miglior modo possibile i motivi del successo commerciale di C’è ancora domani occorre fare il punto su alcune questioni che in molti sembrano tralasciare. Molte parole si sono spese circa la supposta familiarità che il film avrebbe con la tradizione cinematografica italiana, nella fattispecie con il neorealismo. Certo, l’ambientazione è quella del neorealismo, e sì, gran parte dei personaggi presenti nel film sono di umili origini. Ma basta questo per definire C’è ancora domani un film simil-neorealista? Assolutamente no! Anche a una lettura superficiale il cinema neorealista apparirebbe diverso, in alcuni casi addirittura opposto, rispetto al film di Cortellesi; laddove il tipico film neorealista era fondato su un tono specificatamente drammatico (quando non proprio tragico), il film di Cortellesi è tutto giocato su un tono che oscilla tra il drammatico e il leggero (quest’ultimo tipico della commedia) in cui ogni tanto fa capolino persino un registro di tipo romantico. Se il film neorealista di solito finiva male o in modo pessimisticamente incerto, C’è ancora domani non disdegna affatto (come abbiamo già accennato) una felice conclusione. Con ciò non vogliamo affermare che nel film di Paola Cortellesi non sia presente in una certa misura la lezione neorealista. Pensiamo semplicemente che questa sia soltanto un pezzo del puzzle. Come gli stessi autori affermano, degno di nota è anche il ricorso alle convenzioni tipiche della commedia all’italiana nonché all’estetica del neorealismo rosa. Ma C’è ancora domani non si limita affatto a includere come fonte di ispirazione la cinematografia nazionale. Tutt’altro! A ben guardare sono parecchi i rifermenti, più o meno diretti, a un’altra tradizione filmica; quella nordamericana, nella fattispecie hollywoodiana. Indubbiamente C’è ancora domani è un film rivolto a un pubblico di massa, e come tale è costruito prevalentemente su quei principi logico-narrativi da sempre utili alle produzioni mainstream di ogni paese, ma che solo gli statunitensi sembrano padroneggiare nel migliore dei modi. Basta dare un’occhiata alla manualistica statunitense di settore (che per altro è ricchissima) per comprendere quanto schematica sia la costruzione della struttura narrativa di gran parte dei film prodotti per il grande pubblico a Hollywood. Il film di Paola Cortellesi, pur con le dovute variazioni che andremo ad approfondire, presenta una simile articolazione drammaturgica. 

Analizziamo i personaggi. Delia, ovviamente, è la protagonista. I suoi obiettivi determinano la storia. Nella pratica della sceneggiatura, al proposito, si è teorizzata da parte di John Truby, uno dei più importanti script doctors hollywoodiani, la distinzione fra desire e need del personaggio principale. Il need è un bisogno profondo, che viene di solito evidenziato o portato a compimento mentre il protagonista punta a raggiungere l’obiettivo più esplicito, il cosiddetto desire. In C’è ancora domani il desire è rappresentato proprio da un desiderio che Delia vorrebbe vedere realizzato; il fatto che la figlia maggiore si sposi un brav’uomo, possibilmente benestante, che la tratti con il rispetto e la considerazione che lei non ha mai ricevuto dal marito. Tuttavia, mentre seguiamo le sue vicissitudini comprendiamo che quello che Delia vuole, in profondità, è di trovare la forza di farsi valere come persona e come donna da Ivano, e per estensione dagli uomini, agli occhi di Marcella, così da esserle di buon esempio. Pertanto il personaggio della figlia occupa il ruolo dell’amato; essa costituisce il motore che spinge la protagonista all’azione; in effetti, nonostante Delia viene presentata inizialmente come una moglie sottomessa e mansueta, in lei c’è già uno spirito d’indipendenza, di ribellione e di determinazione che prelude a una possibile evoluzione, e questo proprio grazie a Marcella; in una delle prime sequenze del film già sappiamo che Delia nasconde del denaro dalla paga che il dispotico marito le sottrae quotidianamente per i suoi lavori. In un momento successivo veniamo a sapere i motivi per cui rischia tanto: vuole regalare un abito da sposa decente alla figlia che sta per sposarsi. L’amore che Delia nutre nei confronti di Marcella la porta a rischiare continuamente. Una svolta importante della trama si ha nel momento in cui la protagonista ascolta una conversazione alquanto sinistra tra la figlia e Giulio, il giovane benestante che quest’ultima vorrebbe sposare. Quando il ragazzo palesa, pur tra una carezza e l’altra, le sue intenzioni nei confronti di Marcella, Delia capisce che la figlia andrebbe incontro a un matrimonio simile al suo. A questo punto, con la collaborazione di William, soldato afroamericano che riveste il ruolo di aiutante, fa esplodere il locale del futuro genero così che i suoi genitori vedano interrompersi il loro benessere e se ne vadano da Roma. Oltre a William, Delia può contare sul supporto di Marisa, altro personaggio che durante il film offre soccorso e solidarietà alla nostra protagonista. Ma passiamo all’antagonista, rappresentato da Ivano. Ad esso corrispondono tutti i tratti caratteriali che ogni villain dovrebbe avere; prepotenza, determinazione, crudeltà e un pizzico di sarcasmo reso ancor più intrigante dalla macchiettistica ma efficace interpretazione di Valerio Mastandrea.  Sor Ottorino, il padre di Ivano, è invece un opponente; anziano infermo che non evita mai di ricordare a Delia di tenere la bocca chiusa, assume la funzione di ostacolare i progetti della protagonista senza essere l’antagonista. Tra i personaggi secondari su cui è necessario spendere qualche riga ci sono poi i ricchi familiari di Giulio e gli aristocratici per cui Delia svolge saltuarie mansioni.  Si tratta delle uniche figure di prestigio sociale presenti nel film. La loro funzione è quella di rendere ben chiaro al pubblico che la discriminazione femminile non è un problema connesso esclusivamente alle classi più umili o alle persone incolte. Nonostante non venga mai mostrato né riferito alcun episodio di violenza fisica, si lascia ben intuire sulla base di alcune brevi conversazioni, sguardi furtivi e determinate allusioni verbali, la condizione di sottomissione a cui sono costrette dai propri mariti anche le donne altolocate. Infine c’è Nino, un meccanico con cui Delia ha avuto una relazione prima di sposarsi. Nino è un personaggio che ha un ruolo puramente strumentale. Suo è il compito di suscitare determinate aspettative nello spettatore che poi verranno significativamente smentite. Nella prima parte del film, poco dopo averlo incontrato sul luogo di lavoro, Delia riceve un biglietto il cui contenuto non viene tuttavia visualizzato. Ad ogni modo il pubblico è indotto a credere che nella suddetta lettera ci sia scritto qualcosa di molto importante che ha a che fare con Nino. Presto l’istanza narrante lascia volutamente intendere allo spettatore che il biglietto contenga la proposta da parte dell’uomo di fuggire insieme. Tuttavia, come a breve vedremo, non è questa la soluzione con cui gli autori decidono di concludere il film. 

Come abbiamo già stabilito, e come risulta evidente anche dalla più o meno rigida distribuzione dei ruoli all’interno del film, il modello narrativo di riferimento di C’è ancora domani è quello logico-narrativo di marca eminentemente classica: linearità e personaggi dagli obiettivi e dai contorni ben definiti sono essenzialmente alcune delle ragioni che hanno decretato il successo di critica e pubblico di questa intelligente impresa produttiva. Anche la progressione drammatica risulta perfettamente rispettosa dei meccanismi classici. Il film conta infatti un’apertura piuttosto tipica. I primi 20 minuti circa, propongono un grado relativamente basso di intensità emotiva, mostrando la routine quotidiana di Delia e offrendo diverse informazioni sui personaggi, sulla loro personalità e sui loro rapporti con la protagonista. Poi il primo picco inaugura la fase dello sviluppo: Delia viene picchiata da Ivano per aver portato a casa della cioccolata offertagli dal soldato afroamericano. Quando il capofamiglia esce di casa, Marcella rimprovera la madre per la passività con cui subisce gli abusi. Il progressivo innalzamento del coinvolgimento emotivo da parte del pubblico, tuttavia non coincide con un vero e proprio incidente scatenante, il quale è rinviato diverse sequenze dopo. A questo punto la curva della progressione diventa sempre più ripida, pur non essendo affatto continua. I momenti di distensione si alternano ad altri più intensi: conversazioni tranquille tra Delia e Marisa al mercato e sequenze di transizione si alternano a eventi emotivamente più intensi, come l’imbarazzante pranzo coi consuoceri in cui Giulio fa la proposta a Marcella. La curva raggiunge ulteriori picchi dopo quello che potrebbe essere considerato il primo plot point: Delia comprende a quali umiliazioni e vessazioni Marcella andrebbe incontro sposando Giulio e decide di far esplodere il locale dei consuoceri per evitare il matrimonio. Questo è un punto di non ritorno per il personaggio. Il momento in cui finalmente inizia ad agire. Ecco che la curva della progressione si innalza sempre più: lo spettatore inizia seriamente a pensare che Delia sia decisa a scappare con Nino. Il giorno fatidico si avvicina. Tutto sembra pronto per il climax. Ma proprio sul più bello un evento inaspettato impedisce all’eroina di scappare: muore il suocero. Il climax così si sposta in avanti. “C’è ancora domani” dice Delia sperando di poter ancora realizzare il suo sogno. Il giorno dopo, il 3 Giugno, Delia si sveglia per prima, mette tutti i suoi risparmi accanto al letto di Marcella che nel frattempo sta dormendo, e se ne va, non prima di fare inavvertitamente scivolare di tasca il fantomatico biglietto che si deposita sulla soglia di casa. Poco dopo si sveglia Ivano, raccoglie il pezzo di carta, lo legge, e rendendosi conto della situazione esce di casa furioso in cerca della moglie. Ben presto si alza anche Marcella, trova il biglietto rigettato a terra da Ivano e in fretta e furia esce di casa. Siamo al punto in cui l’emotività del pubblico raggiunge l’apice, il momento cui ha teso tutto il film. Ed ecco la sorpresa: la misteriosa lettera non conteneva l’invito a fuggire con Nino come l’istanza narrante aveva lasciato abilmente supporre. Il biglietto era la tessera elettorale per votare tra monarchia e repubblica… Come abbiamo detto nella nostra introduzione fu la prima volta nella storia d’Italia che alle donne fu concesso il diritto di voto. Grazie al tempestivo intervento di Marcella, che le riconsegna il documento, Delia può esprimere il proprio voto e affrontare a testa alta il marito, ottenendo una sacrosanta vittoria. A questo punto, il film termina negando al pubblico una vera e propria risoluzione. Come succede certe volte, dunque, il climax coincide con il finale: in questo caso il pubblico esce carico della tensione accumulata. La gestione della progressione drammatica indica chiaramente gli intenti del film: le donne non sono affatto deboli. Nonostante un sistema di tipo maschile abbia imposto a lungo il proprio dominio dettando legge, oggi c’è la possibilità concreta di cambiare, di raggiungere un’indipendenza che il genere femminile può benissimo conquistarsi in perfetta autonomia. 

Vediamo ora di inquadrare alcune delle intuizioni stilistiche del film. Del resto, molto può essere detto circa i riferimenti prettamente audiovisivi di C’è ancora domani. In effetti, sarebbe un errore classificare l’opera di Paola Cortellesi come puro e semplice esercizio di manierismo cinematografico. Coloro che hanno citato il neorealismo come principale fonte d’ispirazione degli autori non sono riusciti ad andare al di là della semplice apparenza neanche per quanto riguarda la forma estetica del film. In realtà, C’è ancora domani si presenta come un conglomerato di stili differenti, una scatola colma di oggetti di diversa natura ma con lo stesso principio denominatore; il Cinema, quello con la C maiuscola: se la scelta di girare in bianco e nero, prevalentemente in location, rimanda a numerose produzioni italiane degli anni Quaranta, Cinquanta, e Sessanta, il ricorso a determinati movimenti di camera così come a specifici schemi di montaggio di tipo classico non può non palesare il debito nei confronti di nomi tutelari di certo cinema nordamericano. Anche alcune metodologie stilistiche legate alle convenzioni del cinema muto sono prese in considerazione: a un certo punto della storia, Delia ricorda il giorno delle nozze con suo marito e i primi anni di vita insieme, consentendoci di tracciare una panoramica sul progressivo capitolare della sua condizione di moglie. Usando l’espediente del flashback, gli autori propongono un vero e proprio pastiche ispirato al cinema degli anni Dieci. A questo punto si dirà: il linguaggio dell’immagine in C’è ancora domani riflette la nostalgia per il cinema del passato? Niente affatto. Ricordiamo l’obiettivo che si prefigge il film: usare il passato per parlare di oggi.  Come può un film che nei contenuti guarda fiduciosamente al presente, intraprendere parallelamente un discorso formale di tipo nostalgico?! Sarebbe paradossale. Infatti, così non è. Il film presenta numerosi elementi stilistico-formali che il cinema mainstream ha assorbito soltanto a partire dagli ultimi trent’anni. Tali elementi, del resto, non si limitano a essere inclusi casualmente nel film insieme a quelli più retrò, piuttosto cooperano con questi per sostenere l’indirizzo tematico complessivo. Facciamo un esempio concreto analizzando l’incipit del film. La prima sequenza di C’è ancora domani è stata girata con un rapporto d’aspetto tipico del vecchio cinema, un 4:3, e utilizzando musiche d’epoca come commento sonoro, lasciando immergere il pubblico perfettamente nel duro contesto storico in cui il film è ambientato. Non a caso il volto di Delia viene significativamente mostrato per la prima volta nel momento in cui riceve uno schiaffo dal marito. Come a dire: così andava un tempo. Una volta certi di aver raggiunto lo scopo, tuttavia, il film cambia radicalmente stile, e questo accade proprio quando Delia esce di casa. La momentanea fuga dall’abitazione-prigione lascia intuire il desiderio d’indipendenza della donna. Mentre Delia cammina con passo sostenuto e sicuro per strada, il formato si dilata trasformandosi nel più comune 16:9. Tale cambiamento è enfatizzato da un ralenti che sottolinea il movimento fiero del personaggio e che produce un certo trasporto emotivo nel pubblico. Anche il sonoro cambia drasticamente; la canzonetta popolare anni Trenta viene sostituita con un baldanzoso brano rock moderno. Il passaggio da una formula stilistica moderatamente retrò a un’altra più vicina ai nostri tempi segnala il grado di connessione tra forma e contenuto, rivelando sin da subito quanto C’è ancora domani metta a confronto passato e presente, repressione ed emancipazione, prigionia e libertà. Il risultato è dunque un film coerente, intenso, moderatamente complesso e piuttosto originale. Il fatto che stia conquistando tante persone non può che farci piacere, non tanto per lo statuto di dignità che restituisce alla nostra cinematografia nazionale, ma perché forse è proprio vero che i tempi stanno cambiando. Forse quel “C’è ancora domani” è finalmente arrivato, basta solo cercarlo.