STORIA DELLA PUBBLICITA' TV IN ITALIA


Carosello

Nei primi tre anni della televisione italiana, dal 1954 al 1957, non c'era la pubblicità. La pubblicità diretta iniziò il 3 febbraio del 1957. Gli spazi pubblicitari non potevano superare il tetto del 5% dell'intero tempo di palinsesto. Questo limite era dovuto al timore che un eccesso di pubblicità televisiva avrebbe potuto sottrarre risorse agli altri media (giornali, cinema, manifesti…).

Per questo la pubblicità fu confinata in uno speciale siparietto, Carosello, che conteneva quattro o cinque messaggi pubblicitari a loro volta costituiti da una "microstoria" che non enunciava il nome dello sponsor, che era ammesso solo nella parte finale. Aveva regole ben precise, durava 135 secondi, la prima parte di 1' e 45" e la seconda di 30". Ebbe una accoglienza entusiastica da parte del pubblico, soprattuto quello infantile. Le scenette di Carosello erano molto popolari, così come gli slogan pubblicitari: Calimero e Ava come lava!, oppure Carmencita e il "Moplen". Anche personaggi molto noti prestarono il loro volto per Carosello: nacque così quasi subito con la pubblicità la figura del "testimonial" un personaggio conosciuto e che prestava il suo volto e le sue capacità e il suo "personaggio" allo spot. I più famosi negli anni sessanta: Ubaldo Lay (il "Tenente Sheridan") testominal dell'apertitivo Bianco Sarti,  Ernesto Calindri per l'amaro Cynar, ecc.

Il codino pubblicitario diventava la parte terminale di uno spettacolo che divertiva di per sé. Carosello era un appuntamento fisso alla fine del telegionarnale: "a letto dopo Carosello" dicevano i genitori ai figli. Le ultime storie vennero trasmesse nel gennaio 1977.

A Carosello si affiancarono negli anni altre rubriche pubblicitarie come "Gong" (1959), "Tic-Tac" (1959), "Intermezzo" (1962) sul secondo programma. Nel 1968 si inaugurarono due rubriche unificate sui due programmi: "Doremì" e "Break".

La gestione degli spazi pubblicitari fu affidata alla SIPRA (Società Italiana Pubblicità Radiofonica e Affini), una società con partecipazione maggioritaria dell’IRI e della RAI, che già esisteva dal 1926 con lo scopo di raccogliere e gestire i proventi pubblicitari per la radio. Fu solo con Carosello che questa società ebbe un grande sviluppo e si trasformò in uno strumento di potere. Tutto il mondo della produzione con prodotti destinati al largo mercato voleva inserirsi nel ristretto numero delle aziende ammesse alla pubblicità su Carosello: lo strumento di potere e indirettamente di controllo politico fu quello di accettare solo aziende che acquistavano un "pacchetto" comprendente anche pubblicità su giornali di partito o graditi ai partiti di governo.

Nascita degli spot

La fine di Carosello comportò il definitivo affermarsi dello spot televisivo: un messaggio preregistrato, che veniva ripetuto più volte, anche nella stessa giornata. Non era più il presentatore o la valletta che indicava il nome dello sponsor, ma un breve inciso, studiato nei minimi particolari da stuoli di professionisti, e che doveva ammortizzare i suoi costi in una campagna pubblicitaria prolungata nel tempo.

Nel corso degli anni Settanta venne abbandonata l'idea di legare un prodotto a un personaggio nel corso di molti anni e si ricorse a personaggi presi dalla strada, che dovevano rappresentare la gente comune.

A metà degli anni Settanta esplose il mercato pubblicitario con la nascita delle tv private. Nel 1978 vennero trasmessi i primi spot da 15 secondi e primi spot a colori.

A Biella un piccolo mobilificio locale Aiazzone iniziò una campagna pubblicitaria sulle tv locali che stavano espandendosi nella penisola, per la consegna di mobili di prezzo non elevato, ma senza pretese di qualità. L'invito ossessivamente ripetuto dall'anchorman Guido Angeli era a presentarsi in una delle sedi di Aiazzone a suo nome, per saggiare di persona la qualità del mobilio. "Provare per credere" e il relatico gesto della mano di Angeli il "San Tommaso del truciolato", oltre che l'espressione "Dite che vi manda Guido Angeli" entrarono nel vocabolario e negli usi quotidiani degli italiani. Fu un modo nuovo ed inusuale di messaggio commerciale televisivo, indirizzato ad un pubblico di target medio-basso. Il linguaggio usato negli spot era semplice ma al tempo stesso molto diretto ed accattivante: il sabato i visitatori erano invitati a pranzo e a cena dagli stessi arredatori, che erano disposti a venire gratuitamente a casa dei clienti a prendere le misure.

Gli spot Aiazzone erano trasmessi da Tv locali di tutta Italia: un nugolo di mobilifici concorrenti imboccarono la stessa strada, commercialmente così interessante. Sembrava proprio che questa strada spontaneistica e così poco rispettosa delle regole canoniche del marketing dovesse affermarsi e con essa una pletora di piccole Tv a respiro provinciale o al massimo regionale, sotto l'influsso di alcuni imprenditori di prodotti a grande consumo. Dopo la morte di Aiazzone, la sua impresa in breve andò in crisi ed anche la formula da lui inventata.

Il mercato venne completamente cambiato dalla creazione di Publitalia '80: Telemilano, la televisione locale rilevata da Silvio Berlusconi, decise di fondare una sua agenzia, da subito gestita con metodi innovativi rispetto al mercato. Squadre di consulenti molto professionalizzati sollecitavano i potenziali clienti, offrivano sconti e facilitazioni. Si rivolgeva anche alle medie aziende per le quali l'accesso alla pubblicità sulla Rai era assai difficoltosa per motivi economici.

Più diventava potente però, e più Publitalia riproponeva il modello accentratore della Sipra, ottenendo il risultato di stroncare lo sviluppo delle Tv locali: la raccolta pubblicitaria venne compiuta a livello nazionale, gli investitori erano le grandi aziende nazionali, ecc…

In questo modo Publitalia e SIPRA si trovarono alleate e concordi nel togliere alle emittenti televisive locali qualsiasi possibilità di affrancarsi dal loro controllo e di poter contare su di un sufficiente pacchetto pubblicitario. Ne nacque immediatamente un duopolio, formalizzato anche in un raffinato strumento gestito insieme, l'Auditel.

Il trionfo degli spot

A poco a poco l’eredità di Carosello divenne meno evidente, almeno per il fatto che approdarono sugli schermi nuovi testimonial; ma il legame con la tradizione non poteva perdersi in così breve tempo, e quindi il gusto per il jingle orecchiabile, lo slogan indovinato, i personaggi accattivanti, la musica di facile memorizzazione continuò per molti anni ancora.

Con i primi anni Ottanta si registrava l’intensificarsi dell’uso dello slogan e l’avvento dei “tormentoni”, frasi ripetute più e più volte allo scopo di rimanere impresse nella mente dello spettatore. Gli slogan dovevano essere ben congegnati, in modo che entrassero a far parte della vita degli italiani, legati al nome del prodotto ma utilizzabili anche in situazioni di quotidianità. Alcune frasi divennero di uso comune, come “O così o Pomì”, “Ho una fame che vedo Vismara”, “L’uomo Del Monte ha detto sì”, ecc.

Il successo delle televisioni commerciali moltiplicò esponenzialmente il numero degli spot. Al centro degli spot c'era una story, di solito basata su una famiglia che consumava o usava il prodotto reclamizzato. Tra le tante "telefamiglie" protagoniste di spot televisivi quella più importante fu quella del "Mulino Bianco". In questo spot era rappresentato il vissuto quotidiano di una famiglia composta da Mamma, Papà e due figli biondi, un maschio e una femmina, che erano sempre felici e andavano volentieri a scuola, o facevano i compiti. Quest'immagine di famiglia, mitizzata e assai lontana dalla realtà, non abitava in un bicamere più servizi di un grigio palazzone alla periferia di qualche città italiana, ma in un "Mulino bianco" immerso in sconfinati campi di grano. La famiglia veniva svegliata dal canto del gallo e dai primi raggi del sole che filtravano attraverso le persiane. Le facce sono rilassate e tutti si avviavano di corsa a fare colazione ovviamente a base dei prodotti del Mulino bianco. I bambini poi si avviavano a scuola saltellando, con in spalle le loro cartelle leggerissime, mentre il papà, un quarantenne con la faccia e fascino da divo di Hollywood, li seguiva in bicicletta.

Negli anni seguenti, complici anche i profondi cambiamenti della società, si ridimensionava la presenza della classica famigliola felice. Single, anziani, immigrati e persino velatamente coppie di fatto ottenevano la ribalta degli spot televisivi.

Con al ripresa della fiction tv, dalla seconda metà degli anni Novanta in poi, tornava anche la fiction nella pubblicità, con veri e propri serial (come per i servizi di telefonia mobile).

A partire dai primi anni Novanta, i cambiamenti di tecnologia televisiva e di gusto, sia dei pubblicitari sia del pubblico, portarono a una nuova rivoluzione: niente più jingle (tranne rare eccezioni), niente più tormentoni, niente più slogan a effetto; gli spot spesso vennero girati non su pellicola ma su supporti digitali ad alta definizione. Anche la post-produzione venne effettuata digitalmente, e gli effetti speciali e i ritocchi resi possibili da tali tecniche spinsero i creativi a concepire gli spot come se fossero brevissimi cortometraggi, ricchi di immagini di grande appeal, nuove cromaticità, trovate visive innovative, suoni e musiche che ben si fondevano con esse. Quanto all'accompagnamento sonoro, il jingle venne sostituito da brani new age o di musica leggera, molti dei quali di facile consumo.

La crisi di fine anni '90

Il tetto sugli spot pubblicitari rispetto al tempo globale delle trasmissioni giornaliere, è stato considerevolmente elevato nel tempo. Attualmente, il limite è al 18% della programmazione oraria. Un emendamento della stessa legge Gasparri prevede lo scorporo della televendita dall'attività pubblicitaria. Per tal motivo le televendite non sono più soggette a questo limite.

Alla fine degli anni novanta il modello pubblicitario che sembrava destinato ad espandersi in modo infinito, andò in crisi. Ad esempio l'eccesso di interruzioni durante la proiezione dei film, fece introdurre delle limitazioni. Ma era l'intero sistema che veniva contestato: sorse, come idea alternativa, una televisione senza spot pubblicitari, ma che abbandonava il concetto di gratuità delle televisioni commerciali, per introdurre un canone privato di abbonamento o la formula del pay per view.

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